Marcello Veneziani è un intellettuale in perenne movimento. Vive a Roma, in Trastevere. Ma dopo qualche giorno di permanenza, avverte l’esigenza di scappare. La presentazione di un suo libro. Una conferenza. Una discussione. Un evento. Una visita alla natia Bisceglie. Ogni motivo è valido per filarsela. Si ferma solo, in letizia, nella bella casa di Talamone. Pensa. Ragiona. Legge. Scrive. E poi scende in riva al mare. Si inerpica sugli scogli e si tuffa. Potrebbe fondare un ordine degli eremiti abbrustoliti dal sole e rinfrescati dalle acque tirreniche. È fresco di stampa un suo saggio. Scritto davvero curioso, poiché non affronta questioni politiche, come ci si aspetterebbe. Il titolo è L’amore necessario. La forza che muove il mondo (Marsilio, pagg. 113, euro 18).
Ti candidi a prendere il posto di Francesco Alberoni, portando la sociologia alle masse?
«Macché, non ci penso minimamente».
Allora segui la scia di Vito Mancuso e Massimo Recalcati?
«Neppure! Non è un breviario per la terapia di coppia. Da anni rifletto sul pensiero filosofico e spirituale, frequentando assiduamente autori quali Plotino, Dante, Nietzsche, Simone Weil, Cristina Campo. E ho scritto, pur se non in forma organica, su tematiche universali. Quali a esempio l’amore, la vera energia che muove incessantemente il mondo e gli esseri umani. Pertanto, mi è sembrato giusto il momento per misurarmi con un argomento che non sia di stretta attualità o di prospettiva storica».
Il libro è suddiviso in nove grandi tematiche: l’amore per la vita, per sé, per l’altro, per la famiglia, per il sapere, per la patria, per il mondo, per il destino, per il mistero divino. Un film insolitp, Perfect Days di Wim Wenders, candidato all’Oscar come Miglior film straniero, mi sembra l’illustrazione di molti pensieri espressi in questo tuo lavoro.
«Hai ragione. Il film mi è piaciuto molto. È uno dei rari esempi di tendenza inversa rispetto al pensiero dominante che regola la cinematografia, non solo nazionale. Purtroppo, l’ho visto quando avevo già consegnato il testo, altrimenti ne avrei parlato. Racconta le giornate, monotone solo in apparenza, di un pulitore di bagni pubblici a Tokyo. Ma rappresenta, nell’apparente semplicità della forma, un inno all’amore per la vita, oltre che un invito a riflettere sull’importanza dell’amore per le piccole cose e per la forza persistente delle tradizioni».
L’amore odierno in Occidente è dominato dal narcisismo. Per te l’avvio di questa tendenza va individuato nel Sessantotto, il vero spartiacque, non politico ma antropologico e comportamentale, della condizione postmoderna.
«In quel frangente prende piede il concetto di amore libero, l’esatto contrario dell’amore necessario. Col trascorre del tempo, lo aveva già sottolineato il sociologo americano Christopher Lasch nello scorcio finale del secolo passato, il narcisismo stava dilagando, assumendo la fisionomia tipica dei comportamenti di massa. Quindi è stato il narcisismo di massa, io amo io, ad accompagnare la rivoluzione sessuale, producendo il dilagare della solitudine».
In Genesi, versetto 2,18, sta scritto: «Non è bene che l’uomo sia solo». Oggi vediamo l’opposto: la solitudine è la principale malattia della società occidentale.
«Esatto. Tutto si è liquefatto. Anche l’amore, come suggerisce Zygmunt Bauman, è diventato liquido. Dalla famiglia classica, patriarcale, siamo passati a velocità supersonica alla famiglia queer. Non credo nell’amore libero. Credo ancor meno nell’amore queer, propagandato con passione da Michela Murgia. Rivendico la superiorità dell’amore necessario come destino, naturale, rispetto all’amore libero e queer, come puro fatto soggettivo, volontario e volubile. Del resto, l’amore è la sola schiavitù che rende liberi. Se l’amore esce dall’orizzonte del mondo, la vita stessa perde senso ed è destinata a eclissarsi, deperire, sino alla definitiva scomparsa».
Viviamo nell’epoca del disamore?
«Certo! Non a caso ci troviamo ad affrontare quotidianamente il rancore provocato dal disamore. Rancore sempre più diffuso, che aggredisce le istituzioni, la famiglia, le tradizioni, la storia stessa. Nella società dove sono ormai vaghi e labili i concetti di passato e futuro, a vantaggio del solo presente, il rancore regna sovrano, al pari dell’invidia sociale, della rabbia e del disinteresse».
Di recente hai pubblicato la biografia di Vico, il quale si interroga sul ciclico tramonto della società. L’attuale è in una fase di tramonto, anche dal punto di vista dell’amore?
«Il disamore verso la civiltà otterrà il risultato di produrre tecnobestie artificiali, incapaci di provare sentimenti. La sola garanzia offerta all’umanità, per definirsi e restare tale, è l’amore. Spopola, invece, l’amore di sé, egocentrico e autoreferenziale. La perdita dell’amore è rimpiazzata da lusso, consumo, oggetti, fama, ossessiva cura del corpo, moda, successo».
Jean Baudrillard, facendo il bilancio della propria avventura intellettuale, rilasciò un’intristita intervista: è tutto finito?
«Non sarei così negativo. Amare la vita equivale ad amare il mondo e l’umanità. Ci sono epoche come la nostra, richiamandomi a Vico, in cui l’amore tende a eclissarsi, ad assumere fisionomie persino tragiche. Compito di chi riflette sulle tendenze filosofiche del proprio tempo è fare chiarezza, sgombrare il campo dagli equivoci, descrivere le cose così come sono. Avendo il coraggio di andare controcorrente, sfidando, se necessario, la corrente avversa delle ovvietà. E ribadire, alla fine dei conti, che l’amore è necessario».