Avanti piano anche se, in realtà, sono tutti appesi alla decisione di Hamas. Troppo ottimismo nell’annuncio fatto dal Qatar, sempre più calato nel ruolo nel mediatore. La trattativa tra Israele e i miliziani non è ancora arrivata a conclusione anche se, dopo mesi di conflitto durissimo, forse per la prima volta si respira un po’ di ottimismo, fermo restando il costante gioco delle parti. Che, quando si parla di guerra, non è mai a costo zero, da qualunque punto la si guardi e vive di equilibri precari.
Prudenza, innanzitutto. Un alto funzionario israeliano così come alcuni ministri che hanno preferito rimanere anonimi, raccontano che «le possibilità che la proposta sul nuovo cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi si materializzi sono 50 e 50» e che l’accordo «potrebbe non arrivare presto o potrebbe non arrivare mai». Sul tavolo rimane un possibile cessate il fuoco di almeno sei settimane, il rilascio in tre fasi di tutti i 136 ostaggi ancora nelle mani di Hamas, e la liberazione di numerosi palestinesi detenuti nella carceri israeliani. «Non possiamo dire che lo stadio attuale dei negoziati sia pari a zero e allo stesso tempo non possiamo dire di aver raggiunto un accordo», ha detto Taher al-Nono, consigliere del capo di Hamas in Qatar, Ismail Haniyeh. Uno dei nodi sarebbe proprio quello dei detenuti. Funzionari di Hamas hanno detto di voler la liberazione di Marwan Barghouti, uno dei leader dell’intifada, in carcere da 21 anni e fondatore delle brigate dei martiri di al-Aqsa, il braccio militante di al-Fatah. Un pezzo grosso, che potrebbe far pendere da una parte o dall’altra l’esito della trattativa. Così come Ahmad Saadat, capo del gruppo terroristico Fronte popolare per la liberazione della Palestina, che sta scontando una condanna a 30 anni per il suo ruolo nell’assassinio del ministro israeliano del turismo Rehavam Ze’evi nel 2001.
Ma non è l’unico punto su cui la leadership di Hamas sta ragionando. Dopo essere stati di fatti accreditati di un ruolo politico, arrivando al tavolo dalle trattative, l’obiettivo principale sarebbe quello di arrivare a un cessate il fuoco permanente che di fatto toglierebbe l’assedio israeliano sulla Striscia. «Abbiamo provato tregue temporanee e si è scoperto che gli israeliani non rispettano queste tregue ma le violano sempre. Non è possibile che ciò sia accettabile per la resistenza», ha detto Osama Hamdan, alto funzionario di Hamas a Beirut. Le condizioni presentate dopo l’incontro di Parigi tra Cia, Mossad e funzionari egiziani e qatarini sono sul tavolo e Hamas ha fatto sapere che «risponderà nelle prossime ore», ha specificato il portavoce in Libano Walid Kilani, confermando che il capo politico del movimento Ismail Haniyeh «si recherà nei prossimi giorni in Egitto per discutere la questione. Ci sono indicatori positivi nelle proposte su cui verrà costruita la nostra posizione». Lo stesso Haniyeh ha detto che «i movimenti di resistenza prenderanno in considerazione iniziative per un cessate il fuoco solo se tali iniziative rispetteranno gli interessi della nazione palestinese», il che significa tutto o niente, ma soprattutto che Hamas cerca di tirare quanto più possibile l corda verso la propria direzione. Passi avanti, piccole aperture, spiragli. Ma la trattativa continua a correre su un filo sottile e potrebbe bastare davvero poco per spezzarlo.