Una tesi ardita o una verità amara? È iniziato ieri l’ennesimo processo contro Piero Amara, l’ex legale Eni che avrebbe ingannato le Procure di mezza Italia con le sue verità verosimili, che tanti guai hanno causato a politici, imprenditori e magistrati. Galeotte le sue rivelazioni durante gli interrogatori resi fra dicembre 2019 e gennaio 2020 ai pm di Milano Laura Pedio e Paolo Storari sulla presunta Loggia Ungheria, capace di condizionare processi e carriere. A sorpresa Amara si è presentato in udienza, scortato dai suoi legali Salvino Mondello e Francesco Montali. Spavaldo e sicuro di sé, a fine udienza ha stretto la mano a qualche legale. Con il Giornale non parla («sui cronisti c’è un divieto del tribunale di Sorveglianza») ma non è detto che non lo farà prossimamente. Per i pm Paolo Filippini, Roberta Amadeo e Stefano Civardi il suo è solo fango lanciato contro i vertici di Csm, politica e forze armate – dall’ex ministro Paola Severino a Paola Balducci, presente in aula come l’ex pm Giuseppe Toscano – a suo dire legate da una Spectre massonica. Molti di loro si sono costituite ieri alla prima udienza, iniziata con l’autoricusazione del giudice Marco Tremolada, presidente della settima sezione, parte lesa a Brescia proprio perché Amara fece credere falsamente al pm Fabio De Pasquale – che indagava su Eni – che il giudice fosse vicino al Cane a sei zampe.
Il processo è stato riunito dal giudice della settima penale Raffaella Mascarino a quello in corso, in cui lo stesso Amara risponde di rivelazione di segreto d’ufficio per aver consegnato a Vicenzo Armanna, ex manager licenziato da Eni, proprio i verbali con le sue indimostrate affermazioni ai pm milanesi sul cosiddetto «falso complotto» ai danni di Eni. Amara avrebbe fotografato i verbali e se ne sarebbe «furtivamente impossessato» per darli ad Armanna. La balla secondo cui il verbale sarebbe stato acquisito per 50mila euro da un poliziotto vicino ai servizi segreti serviva solo, dicono i pm, per «occultare un altro reato e garantire l’impunità di Amara». È stato Fabio Repici, il legale dell’ex consigliere del Csm Salvatore Ardita, a chiedere di accorpare anche un terzo filone che riguarda il suo assistito, infangato ingiustamente da Piercamillo Davigo (già condannato in primo grado a Brescia per aver rivelato i verbali a lui consegnati al Csm proprio da Storari), che ha usato le false verità di Amara per screditare l’innocente l’ex collega diArea Ardita a Palazzo de’ Marescialli. Le balle su Eni e il mascariamento del coraggioso pm fanno parte della stesso disegno? È una tesi ardita o una verità amara? Si capirà il prossimo 12 marzo.