Il braccialetto, le garanzie, le trattative. Cosa succede ora a Ilaria Salis

Salis, magistrati contro le toghe rosse

Si parla da giorni di Ilaria Salis, l’attivista italiana in carcere da undici mesi a Budapest, dove deve rispondere dell’accusa di aggressione nei confronti di due estremisti di destra nel febbraio 2023. Se ne parla perché, com’è noto, hanno destato scalpore le immagini con cui è stata portata in tribunale, incatenata mani e piedi e tenuta con una sorta di guinzaglio-catena da un agente, guardata a vista da un uomo armato e incappucciato, segno della estrema pericolosità della detenuta. Quasi unanime lo sdegno, nel nostro Paese ma anche nel resto d’Europa, per la brutalità di quel trattamento. A cui hanno fatto seguito i racconti dal carcere, filtrati dalla lettera che Salis ha fatto recapitare. Racconta di essere stata trattata come una bestia, senza poter parlare con la famiglia per sei mesi, più altri dettagli pesanti. E pure di aver dovuto firmare un verbale, in ungherese, senza sapere cosa vi fosse scritto, dopo la visita in carcere del procuratore.

Il rientro in Italia?

È possibile un rientro in Italia della Salis? Tenicamente ora no, prima deve chiederlo il suo avvocato (e la richiesta deve essere attentamente valutata, nell’interesse della Salis). Il nostro ministero della Giustizia comunque sta lavorando per assicurare, nero su bianco, che nel caso in cui le venissero concessi gli arresti domiciliari non esisterebbe pericolo di fuga, e che la Salis non si sottrarrebbe al processo. L’Italia, infatti, assicura che potrebbe esserle applicato il “braccialetto elettronico“, proprio per scongiurare rischi di fuga. Ma il processo come andrebbe avanti, in sua assenza? Non sarebbe da escludere la possibilità di riportarla in udienza, a Budapest, per ogni udienza. Oppure valutando l’utilizzo degli strumenti elettronici, con videocollegamenti. Su tutte queste questioni tecnico-giuridiche, tuttavia, sono in corso valutazioni attente tra gli avvocati della duifesa e il ministero, che dovrà necessariamente interfacciarsi con le autorità ungheresi competenti. Successivamente, una volta stabilite le varie opzioni, la parola passerebbe alla diplomazia cui, dopo la politica, spetta il compito di dirimere la questione. Il rischio, a questo punto, è che tra la fine del processo e l’espulsione si potrebbe arrivare al 2025.

Tajani: “Agire in silenzio”

Che l’Italia si sitia muovendo, da giorni, è confermato dalla telefonata e poi dall’incontro tra la premier meloni e Orban, e dalle parole del ministro degli Esteri e vicepremier italiano, Antonio Tajani. Che in un’intervista al Fatto quotidiano rivela un dettaglio importante: ”Più si sta zitti e prima si risolve questa situazione’. Aggiunge che “per il momento non possiamo chiedere gli arresti domiciliari fino a che l’avvocato della sua famiglia non lo fa e finora non lo ha fatto perché teme possibili ritorsioni da parte dei neo-nazisti ungheresi”. “Inoltre – prosegue – non possiamo chiedere di fare il carcere in Italia in attesa della sentenza perché non ha commesso reati nel nostro Paese. Quindi al momento non abbiamo alcun appiglio legale”. “Io chiedo a tutti di fare silenzio e di parlare il meno possibile di questa questione, solo così si potrà risolvere come successo con Zaki e Alessia Piperno. Infatti mi riferisco anche a lui, in questo modo si sta facendo un danno alla Salis. Più si parla e più la si danneggia. Lo dico a Salvini ma anche alla segretaria del Pd Schlein”.

La dura vita in carcere

“Si trascorrono 23 ore su 24 in cella completamente chiusa – ha scritto Salis in una lettera dal carcere -. C’è una sola ora d’aria al giorno e la socialità non esiste. Tutte le mattine ci svegliamo alle 5.30. Ogni volta che dobbiamo sostare in corridoio dobbiamo stare rivolte verso il muro… Per i primi tre mesi sono stata tormentata dalle punture delle cimici da letto. Oltre alle cimici, nelle celle e nei corridoi è pieno di scarafaggi. Nei corridoi esterni spesso si aggirano topi… Il carrello passa per la colazione e per il pranzo ma non per la cena”.

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