Il confine tra Stati Uniti e Messico è più caldo che mai. Da oltre un anno si registrano accessi record di immigrati e l’emergenza sociale si è trasformata in politica con uno scontro al calor bianco tra il governatore repubblicano del Texas Greg Abbott e il governo federale, che ha competenza sulla gestione dell’immigrazione, guidato da Joe Biden. Inoltre, i repubblicani più estremisti a Capitol Hill si stanno opponendo allo stanziamento di 61 miliardi di dollari in aiuti militari all’Ucraina reclamando una soluzione per la crisi alla frontiera. C’è però un altro inatteso effetto delle tensioni in corso nello Stato del sud che lascia intravedere uno scenario ben riassunto dall’interrogativo lanciato dal Newsweek sulla copertina del suo ultimo numero: “Può andarsene il Lone star state?”
L’ipotesi di una Texit, per quanto al momento sia piuttosto irrealistica, è sintomo di un forte disagio intercettato, peraltro da anni, da Daniel Miller, presidente del Texas Nationalist Movement, il quale ha appena dichiarato che la secessione potrebbe essere “più vicina di quanto pensiamo”. Le parole di Miller sono arrivate mentre la Corte Suprema ha stabilito che gli agenti federali possono rimuovere il filo spinato installato al confine su ordine di Abbott nel tentativo di ridurre l’afflusso di migranti. Il governatore ha quindi invocato “l’autorità costituzionale del Texas a difendersi e proteggersi” da quella che ha definito “un’invasione”, 25 governatori repubblicani hanno poi rilasciato un comunicato congiunto per esprimere “solidarietà” ad Abbott e l’amministratore dell’Oklahoma Kevin Stitt ha paragonato il conflitto Stato-forze federali ad una “polveriera”.
“Siamo ad un punto in cui la Texit è ben presente a tutti, sia per quelli che l’appoggiano sia per quelli che la osteggiano” afferma Miller aggiungendo che l’emergenza immigrazione è in primo piano sui media e la possibilità della secessione “è diventata l’estensione logica naturale di quanto avviene al confine”. Il nazionalista accusa il governo federale di intervenire ogni volta che Austin vuole mettere in sicurezza la frontiera e questo atteggiamento starebbe spingendo molti texani a supportare una campagna per il “sì” ad un eventuale voto per l’indipendenza dello Stato.
Appena poche settimane fa i separatisti hanno consegnato al partito repubblicano statale una petizione firmata da circa 140mila cittadini per un referendum consultivo sull’indipendenza texana da svolgersi in concomitanza con le primarie di marzo. Il Gop ha però respinto l’istanza sostenendo che non fossero state rispettate le tempistiche e che le firme raccolte non fossero valide e anche la Corta suprema del Texas, senza fornire una motivazione, ha rifiutato di prendere in esame la questione. “L’establishment oggi ha vinto ma noi non andiamo via”, è stata la reazione di un avvocato del movimento fondato nel 2005.
Il nazionalismo in Texas “è irrealistico”, dichiara il professore universitario James Hanson ma è comunque impossibile prevedere come la crisi sull’immigrazione possa determinare l’evoluzione del movimento separatista texano e se un probabile ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump possa calmare gli animi al confine. In ogni caso, a migliaia di chilometri di distanza, l’ex presidente russo Dmitry Medvedev non perde occasione per entrare nel dibattito prevedendo che gli eventi alla frontiera con il Messico potrebbero portare ad una distruttiva guerra civile.