Ha fatto scoppiare la Sinner-mania. E il trionfo in Australia lo ha fatto diventare una sorta di supereroe, come lo ha definito il grande Alberto Tomba con il quale un giorno «vorrei sciare insieme…». «Sento il calore della gente e mi fa piacere ma io resto tranquillo, sono lo stesso Jannik di due settimane fa, l’importante è che la gente si avvicini a questo sport al di là di me», così Jannik nella conferenza stampa, una sorta di taglio del nastro della nuova sede della Federazione Tennis e Padel. Da ieri è ambasciatore dello sport italiano nel mondo, oggi sarà dal presidente Mattarella con i compagni di Davis e poi tornerà a lavorare. Già, perché lavoro e professionalità sono i suoi unici segreti.
Niente Sanremo quindi («farò il tifo da casa, quando inizierà starò già preparando i prossimi impegni»). Magari rilassandosi tra un allenamento e l’altro con un libro o una serie tv. E il suo messaggio più forte è la bocciatura dei social: «Ti fanno vedere le cose da un lato spesso finto, ho rispetto per questi mezzi di comunicazione ma provo a usarli molto poco, vivo felice e meglio senza. Se piango posso postare foto felici e mando un messaggio sbagliato». Frasi di un campione che potrebbe guadagnare tanto proprio con questo strumento ma che è anche un modello per molti ragazzi. «A chi si attacca ai social, dico semplicemente di stare attenti», sottolinea Sinner il quale ammette di sentire la responsabilità di essere un esempio per i più giovani, ma di essere «felice di averla».
Sarebbe voluto tornare subito a Sesto Pusteria dai suoi genitori, ma «lì è successa una tragedia e non era il caso di fare una festa per la mia vittoria». Meglio pensare ai prossimi tornei: «A inizio anno si va a caccia, come ho detto. Ci siamo dati un obiettivo: giocare meglio gli Slam. Direi che il primo è andato bene, la mia stagione non è finita qui. La pressione? È un privilegio averla, quando le cose vanno bene è più facile naturalmente, ma lavoro con il mio team per realizzare i miei sogni. La preparazione sarà importante, nel 2023 c’è stato un periodo in cui non ho toccato la racchetta».
Lui che ha sdoganato il concetto di tennis come sport di squadra parla dell’importanza del suo team. «I miei tecnici sono umili e si ascoltano a vicenda. Vagnozzi è molto bravo tatticamente e tecnicamente, Cahill mi aiuta a gestire la pressione. Il cambio coach (l’addio allo storico Riccardo Piatti, ndr)? Ho avuto voglia di cercare un altro metodo di lavoro». La scelta di Monte Carlo come residenza è la classica buccia di banana sulla quale si può scivolare ma lui, a domanda, risponde senza imbarazzo: «Lì sto bene, mi posso allenare con tanti tennisti forti, le strutture e le palestre sono perfette e faccio una vita normale, posso andare al supermercato passando quasi inosservato…». Un po’ più su di Monaco c’è Parigi e un’Olimpiade in arrivo a luglio: «La mia prima volta ai Giochi sarà un momento chiave per me e per la mia carriera, non vedo l’ora. Io portabandiera? Non ne abbiamo parlato…». Un pensiero finale a Matteo Berrettini, ancora alle prese con i guai fisici: «Merita il meglio dal tennis, lui mi ha aiutato spesso in passato e gli sono grato. Tengo molto a lui e se mi chiederà qualcosa sarò felice di aiutarlo».