Si incontrano quando sono ormai passate le 22.30 all’hotel Amigo di Bruxelles, storico albergo che ormai da decenni ospita capi di Stato di tutta Europa. E decine di vertici informali, spesso e volentieri nel bar, recentemente rinnovato e intitolato al pittore belga Magritte. Ieri era chiuso, ufficialmente per una «festa privata». In verità perché di lì a poco sarebbe arrivato Viktor Orban per raggiungere Giorgia Meloni, che all’Amigo – come i suoi predecessori a Palazzo Chigi – alloggia ogni qual volta è a Bruxelles.
L’occasione, dunque, per fare il punto sulla vicenda di Ilaria Salis, che da giorni è al centro di fitte interlocuzioni diplomatiche tra Roma e Budapest.
Non è un caso che nelle ultime 48 ore la premier abbia scelto la linea del silenzio, in attesa di fare il punto direttamente con il primo ministro ungherese.
D’altra parte, è ferma convinzione di Meloni che sulla vicenda vada seguito esattamente lo stesso spartito adottato per Patrick Zaki, perché – è il senso del suo ragionamento – nessuna soluzione diplomatica può andare a buon fine alimentando polemiche con lo Stato estero con cui si deve trattare.
(«Su Salis è in corso un attacco per rovinare le buone relazioni tra Italia e Ungheria», fa sapere a sera il portavoce di Orban).
Di qui l’indicazione a ministri e gruppi parlamentari di astenersi da qualunque commento in proposito e non inseguire l’opposizione che sta cercando di «politicizzare la vicenda» rischiando di «danneggiare la stessa Salis come già accaduto in passato con Zaki».
Una linea, quella della presidente del Consiglio, condivisa dal vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Che difende l’operato del governo ma guardandosi bene dall’aprire fronti polemici con Budapest. La Farnesina, peraltro, si starebbe muovendo per convincere le autorità ungheresi a spostare Salis in un istituto penitenziario che le garantirebbe condizioni di detenzione più dignitose, sempre con l’obiettivo finale degli arresti domiciliari in Ungheria (e a quel punto si potrebbe far valere la convenzione in essere tra Roma e Budapest e chiedere l’esecuzione della misura in Italia).
A Palazzo Chigi, invece, non sembra abbiano visto di buon occhio gli affondi di Matteo Salvini e della Lega. Parole, quelle del vicepremier e ministro dei Trasporti, che hanno provocato la replica delle opposizioni e acceso ulteriormente il dibattito politico. Esattamente quello che non voleva la premier. Non è un caso che ministri a lei molto vicini siano convinti che la Lega voglia gettare sabbia negli ingranaggi.
Non solo in chiave interna, ma anche sul fronte dei rapporti con Orbán. Con uno sguardo, ovviamente, all’inevitabile competizione tra le famiglie politiche dei Conservatori riformisti (Meloni) e di Identità e democrazia (Salvini) in vista delle Europee di giugno. Nella corsa a chi tra i due avrà il gruppo più numeroso, infatti, potrebbero essere decisivi proprio i 14-15 eurodeputati che gli attuali sondaggi attribuiscono a Fidesz, il partito di Orbán. Che è in trattativa avanzata ormai da mesi per entrare in Ecr, tanto che ieri da Bruxelles è arrivato l’endorsement dell’ex premier polacco Mateusz Morawiecki, un dettaglio non di poco conto visto che ad oggi la delegazione del Pis è di gran lunga la più numerosa all’interno dei Conservatori. Ma è di tutta evidenza che Fidesz fa gola anche a Id.