Un chip nel cervello. Non è Matrix, è Elon Musk. Che lunedì ha scioccato il mondo annunciando che Neuralink, la sua azienda di interfacce neurali, ha installato il primo impianto cerebrale su un essere umano. Lo scopo: consentire a persone con grossi limiti neuronali di dialogare attraverso il pensiero con il telefono, il computer e, attraverso di essi, quasi tutti i dispositivi, semplicemente col pensiero. Non a caso il prodotto si chiama Telepathy.
L’annuncio del miliardario americano di origine sudafricana, dicevamo, ha turbato il mondo, come quasi tutto quello che lo riguarda. Il personaggio, si sa, è divisivo. Ma in realtà si tratta di qualcosa di meno fantascientifico di quanto possa sembrare al primo colpo. Diverse aziende rivali di Neuralink hanno già impiantato dispositivi simili e anzi Musk aveva provato a collaborare con la Synchron, che ha impiantato un dispositivo simile nel luglio 2022 su un paziente. Così è andato avanti da solo e il 19 settembre 2023, dopo avere avuto il via libera della Fda e da un comitato di revisione indipendente e dopo avere individuato un sito ospedaliero, ha avviato il reclutamento di persone con Sla o paralisi, quadriplegia causata da una lesione del midollo spinale, per il primo trial clinico sull’uomo di un chip da impiantare nel cervello. Poco più di quattro mesi dopo, ecco l’annuncio: «Il primo essere umano ha ricevuto un impianto e si sta riprendendo bene. I risultati iniziali mostrano un promettente rilevamento dei picchi neuronali».
Neuralink si affida a un robot chirurgico che posiziona 64 fili ultrasottili e flessibili con 1024 elettrodi in una regione del cervello che controlla l’intenzione del movimento, creando «una interfaccia cervello-computer wireless». Per dare il senso dell’enormità dell’invenzione, Musk tira in ballo niente di meno che Stephen Hawking, che era affetto da una malattia degenerativa del motoneurone che lo aveva reso tetraplegico: «Immaginate se Hawking lo avesse avuto a disposizione. Avrebbe potuto comunicare più velocemente di un dattilografo». Naturalmente il riferimento all’astrofisico britannico morto nel 2018 è una classica furbata alla Musk, che mira a rendere desiderabile qualcosa che turba e sgomenta. La comunità scientifica in realtà è tutt’altro che in visibilio. Di «poca vera rivoluzione e tanta pubblicità» parla Luca Tommasi, professore ordinario di Psicologia e Psicologia fisiologica all’Università D’Annunzio di Chieti-Pescara, secondo cui Musk si diverte a «far presagire scenari da letteratura fantascientifica, giocando con l’immaginazione delle persone» mentre l’impianto di «elettrodi nel cervello umano è una cosa che succede da decenni per ragioni mediche. E anche l’impianto di chip cerebrali è già realtà da molti anni». Insomma, il miliardario vuole solo far presagire «senza ancora dati concreti, l’ipotesi di un utilizzo di questi strumenti al di là degli interventi sanitari». Come la «simbiosi con l’intelligenza artificiale» evocata dallo stesso Musk come obiettivo finale del progetto.
Ma c’è anche chi trova l’annuncio una buona notizia: «Questa tecnologia – assicura Silvestro Micera, professore di Bioelettronica e Ingegneria neurale alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e al Politecnico (Epfl) di Losanna – è molto interessante e molto robusta. Conosco il gruppo di bioingegneri che ci sta lavorando, alcuni di loro molto bene, e sono bravi, seri. E quello che vogliono fare e che stanno facendo è tecnologicamente interessante perché ha alcuni vantaggi molto importanti rispetto ai precedenti sistemi». Ma meglio non illudersi, si tratta di «una delle scommesse che bisognerà poi vedere se effettivamente si riesce a vincere».