Diodato, il ritorno.
«Torno al Festival dopo averlo vinto nell’anno, diciamo così, più strano».
Il 2020, lo scoppio della pandemia, tutti chiusi in casa.
«Per l’umanità, per tutti noi, è stato uno dei momenti più brutti. Per me come artista ha consentito anche di vivere momenti di intensità fortissima».
Il brano Fai rumore è diventato un inno di speranza di quei giorni di silenzio obbligato.
«Riuscire a fare parte della vita di qualcuno è il sogno di chiunque scriva una canzone».
Per Antonio Diodato, che è nato nel 1981 e ha un volto levigato che potrebbe esser stato dipinto da Modigliani, il sogno ricorrente è di cantare brani che scendano in profondità e che non siano semplicemente di passaggio. Come si capisce, è chiaramente in controtendenza rispetto alla forzata volatilità di quasi tutto il pop di oggi. Non è un caso che una decina di anni fa il suo primo disco si intitolasse E forse sono pazzo. Non è un pazzo, ovvio, ma è per fortuna ancora legato alla canzone d’autore come si è sempre intesa e che, in questi anni, sta cambiando drasticamente identikit. «Vado in gara con un brano che ha una energia molto forte». E va in gara come unico vero e proprio cantautore del 74esimo Festival di Sanremo. Mica poco.
Il pezzo si intitola Ti muovi.
«Sento che sprigiona una energia diversa da quella di Fai rumore. È il frutto dei miei ultimi anni di concerti e di viaggi».
Oggi chi è Diodato?
«Mi sento un viaggiatore molto aperto e con molte meno barriere rispetto al passato. In sostanza sono una persona che ha voglia di stare in mezzo a ciò che accade».
Fai rumore era un segnale di presenza. Ti muovi è un inno alla partecipazione.
«Ciò che mi piace è che la forza di questa canzone arriva dall’anima».
A Sanremo nella serata delle cover interpreterà Amore che vieni, amore che vai scritta da De André nel 1966.
«È stata praticamente la canzone che mi ha avvicinato alla musica italiana».
Ossia?
«Prima ascoltavo soprattutto musica alternativa o brit pop e sentivo De André molto distante dai miei gusti. Poi quella canzone mi ha fatto capire quanto le parole possano essere importanti dentro alla musica. Così presi la chitarra e, da studente del Dams di Roma, iniziai a suonarla e a sentire De Andrè molto più vicino».
Daniele Luchetti la scelse per la colonna sonora del film Anni felici con Micaela Ramazzotti e Kim Rossi Stuart.
«Ricordo che doveva presentare il film da Fazio e mi offrii di cantare il pezzo durante l’intervista. Mi dissero che, sostanzialmente, a Che Tempo Che Fa andavano gli U2 o Madonna e non un cantautore emergente e sconosciuto. Ma mi consigliarono di presentarmi a Sanremo Giovani».
Anno 2014. Arrivò secondo dopo Rocco Hunt nelle Nuove Proposte.
«In sostanza si può dire che indirettamente Amore che vieni, amore che vai mi ha portato al Festival di Sanremo. Ed è per questo che ho deciso di interpretarla nella serata delle cover».
Lo farà con Jack Savoretti.
«Ci siamo trovati subito, umanamente e artisticamente. E poi lui ha forti legami con Genova, come De André, è perfetto in questa canzone».
Se ci fosse stato il «politicamente corretto», De André non avrebbe potuto scrivere tanti testi come li ha scritti.
«Non bisogna dimenticare perché è nata questa esigenza di correttezza. Ma è anche vero che l’arte gioca su piani diversi e non è sempre assimilabile a queste regole. Diciamo che mi spaventa l’idea del politicamente corretto nella musica».
Frank Zappa diceva che «censurare» le canzoni era come tagliare la testa per curare la forfora.
«Definizione perfetta. Se ci sono problemi, la colpa non è della musica. La musica fotografa una situazione, sono altri a doverla eventualmente risolvere».
Dopo aver vinto il Festival, lei non partecipò all’Eurovision. Però mandò un video di clamorosa intensità interpretando Fai rumore all’interno dell’Arena di Verona vuota e spettrale.
«Ho sentito molto il peso di quella responsabilità. Erano giorni nei quali c’era il video di papa Francesco da solo a San Pietro e c’ero io all’Arena che cantavo la mia canzone. Non potevo sbagliare».
E ora?
«Sto scrivendo brani nuovi per un disco che uscirà».
Quando?
«Dopo che avrò pubblicato un’altra mia idea».
Quale?
«Negli studi di Mauro Pagani ho registrato nuove versioni di miei vecchi brani rinati grazie ai concerti con la mia band strepitosa di nove musicisti».
Se vincesse il Festival, stavolta l’Eurovision non glielo toglie nessuno.
«E io ci arriverei sorridente. E con un buon inglese».