Il fiato dell’estrema destra israeliana soffia sul collo del primo ministro Benjamin Netanyahu mentre è in pieno corso la trattativa sulla bozza di intesa trovata a Parigi, con la mediazione dell’intelligence di Stati Uniti, Egitto e Qatar, per il ritorno in Israele dei 136 ostaggi in mano a Hamas, di cui un centinaio vivi e gli altri morti durante la prigionia a Gaza. «Accordo irresponsabile uguale smantellamento del governo» ha scritto su X il ministro Ben Gvir, l’ultranazionalista che, ben prima del Gabinetto di guerra, ha tenuto in piedi l’esecutivo Netanyahu e ora minaccia di farlo cadere se «Bibi» non manterrà la linea dura. Il messaggio arriva forte e chiaro al premier israeliano, proprio mentre il leader dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, conferma di aver ricevuto la proposta di intesa e spiega che una risposta arriverà dopo un attento esame e una visita al Cairo per discutere i dettagli.
Pressato da Ben Gvir, Netanyahu ripete così il mantra della «vittoria totale» a Gaza e promette: «Non porremo fine a questa guerra se non con il raggiungimento di tutti i suoi obiettivi». Sono i tre soliti pilastri dell’offensiva: eliminare Hamas, riportare a casa tutti i rapiti e garantire che Gaza non minacci più Israele. «Non rimuoveremo l’esercito israeliano dalla Striscia di Gaza e non rilasceremo migliaia di terroristi», garantisce il premier. Parole nette dopo le indiscrezioni sull’intesa, per rassicurare l’alleato e l’estrema destra. Parole che confermerebbero, in apparenza, l’inconciliabilità con le richieste di Hamas e dei gruppi affiliati. La Jihad islamica ha infatti ribadito, al contrario, che non accetterà alcuna intesa senza la garanzia di un cessate il fuoco totale e il ritiro dell’Idf dalla Striscia.
Eppure è nelle pieghe di una dichiarazione di Mohammad Nazzal, membro dell’ufficio politico di Hamas, che si potrebbe trovare la soluzione al rebus, un’intesa che salvi le posizioni ufficiali dei belligeranti, utili per essere esibite ai propri sostenitori, e consenta al tempo stesso a ognuno di portare a casa un risultato: per Israele il ritorno degli ostaggi, per Hamas una pausa più lunga possibile nei combattimenti. «Siamo pronti a raggiungere l’obiettivo di un cessate il fuoco permanente per gradi – ha spiegato Nazzal – Ma possiamo arrivarci nella seconda o terza fase dell’accordo». È nella gradualità dell’intesa che ognuna delle parti potrebbe vantare un successo, anche se Hamas insiste sul «ritiro israeliano». Secondo fonti del Qatar, l’accordo sarà finalizzato la settimana prossima. Un alto esponente di Hamas ha riferito alla Reuters che la bozza prevede tre fasi. La prima: rilascio degli ostaggi, a cominciare da donne, bambini, anziani e malati. La seconda: liberazione dei soldati. Terza e ultima: restituzione dei morti. Indefinito ancora il numero di palestinesi da liberare, certo invece l’impegno a una pausa nei combattimenti. Quanto al «ritiro», secondo fonti palestinesi, l’esercito israeliano potrebbe stanziarsi ai punti di confine, consentendo a Hamas di rivendere la decisione come un’uscita dell’Idf, di fatto garantendo a Israele il controllo militare della Striscia, come promette il ministro della Difesa Gallant.
Per la de-escalation, il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, tornerà sabato in Israele, sesta volta dal 7 ottobre. Joe Biden ha ribadito di non volere «una guerra più ampia». Ma ha anche annunciato di aver deciso di rispondere all’attacco a una base americana in Giordania, in cui sono stati uccisi tre militari americani. Non ha specificato come ma qualche indizio lo ha fornito il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, John Kirby, parlando di «un approccio a più livelli, non solo una singola azione, ma potenzialmente azioni multiple».