Un’udienza a porte chiuse non è pubblica, altrimenti sarebbe a porte aperte: lo spiegano vari articoli del Codice di procedura (114, 472 e 473) e lo capisce anche un demente, ma questo non è bastato al «Fatto Quotidiano» secondo il quale, forse, anche queste norme costituiscono un bavaglio alla libertà d’informazione e non la semplice la tutela della riservatezza di una presunta stuprata.
Ieri, infatti, la premiata cancelleria di Marco Travaglio ha pubblicato «i verbali delle udienze a porte chiuse» (titolo) nel processo di Tempio Pausania che vede imputati Ciro Grillo (nella foto) (figlio di Beppe) e altri tre accusati di violenza sessuale contro «Silvia»; specificamente, il giornale ha pubblicato un’intera pagina con l’esame e il controesame della ragazza in aula.
E poco importa se questo sia punibile dall’articolo 684 (che prevede poco più di una contravvenzione) perché importa, semmai, quanto appaia faziosa un’operazione che non solo mette in croce la presunta vittima, ma rivela dettagli scabrosi che gettano luci equivoche contro la studentessa italo-norvegese che denunciò, nel 2019, i quattro imputati. A essere pubblicata infatti non è solo l’udienza del 7 novembre con annesso esame dibattimentale della ragazza, ma anche le obiezioni degli avvocati e soprattutto il controesame del 13 novembre, gratuitamente dettagliato dal Fatto Quotidiano: anche perché, al di là dei dettagli appunto scabrosi, mancava la notizia; le possibili contraddizioni della ragazza, infatti, erano già state genericamente citate dai giornali all’inizio di novembre (e improvvidamente anticipate da alcuni avvocati) e insomma, c’era poco da aggiungere alla sostanza dei fatti.
Ma non del Fatto, la cui sostanza giornalistica, ieri, era composta dalla narrazione sofferta della presunta violenza (tipo che la chiamavano «cagna», per citare una sola essenziale informazione) con infinite altre inutili minuzie che Il Giornale sceglie di non citare per non amplificare il gossip ginecologico del Fatto.
Forse è più interessante citare l’articolo 8 del Codice deontologico dei Giornalisti: «Il giornalista non fornisce notizie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia». C’è anche l’articolo 6: «La divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico non contrasta con il rispetto della sfera privata».
Vedremo che cosa penserà l’Ordine dei Giornalisti, senza contare che la pubblicazione è avvenuta proprio sul quotidiano più vicino a Beppe Grillo (padre di Ciro, imputato) ma questo evidentemente non ha creato imbarazzi. Si può immaginare la crudezza del testo, e l’orientamento della paginata, anche solo segnalando qualche «titolino» scritto in rosso tra un paragrafo e l’altro: «Lacrime in aula: dicevano prendila, è il mio turno», «Alcol: Stordita dai drink, a digiuno da 30 ore», «Le incongruenze: Ricorda solo ciò che vuole», il controesame: «Perché non era lubrificata?».
Non si tratta, adesso, di moraleggiare o tirare in ballo i fantasmi della «vittimizzazione secondaria», ciò che sposterebbe l’attenzione dai presunti aggressori alla presunta vittima: ce le guardiamo bene, anche perché sappiamo bene che le mitomanie, le denunce tardive, gli abiti indossati, l’abbondante alcol consumato e le abitudini sessuali fanno comunque parte di una matassa che resterà, per il giudice, difficilissima da districare.
Ma pubblicare i verbali di un’udienza a porte chiuse resta un ossimoro logico prima ancora che giuridico, una pruderie gratuita, un accanimento che nulla aggiunge a una completezza dell’informazione che già avevamo, grazie.