Si stava meglio quando si stava peggio. Quando c’era una tremenda pandemia, certo, ma «approfittando delle avversità», rievoca commosso Giuseppe Conte, si potevano prendere misure «straordinariamente progressiste», come «un blocco dei licenziamenti da Stato sovietico». Prima che arrivasse «il trauma» del governo Draghi a «smontare quello che noi avevamo fatto», e si sente che ancora vibra di indignazione.
Nella sala della Regina di Montecitorio, dove l’ex ministro della Sanità Roberto Speranza presenta il suo libro del 2020 (ritirato causa seconda ondata di Covid, e oggi rilanciato) con Giuseppe Conte e Elly Schlein, si respira nostalgia. Nostalgia per il Conte 2, per la grande intesa giallo-rossa, ma soprattutto per i bei tempi in cui la sinistra post Pci (con i comprimari post-Dc) contava, stava al governo e dava le carte. Alla commovente celebrazione del «come eravamo», arrivano tutti, tra abbracci e pacche sulle spalle: c’è Massimo D’Alema in prima fila, seduto accanto a Dario Franceschini e a Pierluigi Bersani. C’è l’ex ministro Vincenzo Visco, Guido Calvi sottobraccio con Agazio Loiero, Susanna Camusso, Laura Boldrini, Angelino Sanza, Andrea Orlando e Piero Fassino.
L’atmosfera da Amarcord è tale che mentre Conte e Speranza rimembrano a ruota libera i bei tempi del Covid e dell’idillio di governo tra Pd e M5s, persino la conduttrice dell’evento, Lucia Annunziata, si dimentica per una buona mezz’ora della presenza sul podio dell’ultima arrivata, Elly Schlein. La quale ascolta, tace e si occupa di passare il microfono dall’uno all’altro dei due protagonisti, presi dai loro ricordi di gloria. «Non vorrei isolare Elly dalla conversazione», li interrompe a un certo punto.
Conte arriva per ultimo e si ferma a parlare alle telecamere, poi lui e Schlein si scambiano un rapido bacio con sorriso di circostanza. La freddezza è inevitabile, dopo gli sgambetti e le tensioni delle ultime settimane. Speranza si prende il ruolo di mediatore: liquida con asprezza la commissione parlamentare sulla gestione della pandemia: «Ne ho zero paura, se mai pietá per chi la ha concepita come plotone di esecuzione contro me e Giuseppe». Poi spiega che non è vero che un’alternativa alla destra non c’è: «L’alternativa l’abbiamo vissuta col Conte 2: abbiamo dimostrato che si può governare bene insieme, nonostante le differenze. Quella storia non va rimossa». Certo, ammette, «mi si sono rizzati i capelli in testa quando ho sentito Conte dire che non sa scegliere tra Biden e Trump», ma son quisquilie che si possono superare. Conte replica piccato: «A me si son rizzati i capelli in testa quando ho scoperto che il Pd è bellicista e vuole i termovalorizzatori». Ma poi getta acqua fredda sugli entusiasmi di Speranza: certo, «Il Conte 2 è stato un miracolo politico» ma ora «siamo all’opposizione, e noi 5s non siamo attaccati al potere e ci stiamo bene». A differenza di voi del Pd, è il sottinteso. Se lui è passato dall’abbraccio con la Lega del Conte 1 al governo col Pd fino al sostegno iniziale a Draghi, spiega con mirabile aplomb, non è stato per amore del potere ma «per senso di responsabilità». Ma le differenze ci sono eccome, rivendica orgoglioso: «Non abbiamo una visione comune in politica estera e ce lo dobbiamo dire, ora che abbiamo il tempo di discuterne apertamente». E comunque «non basta mettersi insieme per vincere: noi non faremo un cartello elettorale come la destra, che in questo è più abile». Obietta Schlein: «Ma loro una coalizione la hanno, e la gente per strada ci chiede di costruire insieme un’alternativa a questa destra». A cominciare dalle regionali, insiste: «Mettiamoci intorno a un tavolo, the sooner the better». Lui prende tempo: «Speriamo di trovarci su progetti condivisi, non abbiamo atteggiamenti pregiudiziali ma ci sono ostacoli da rimuovere».