Senza arrivare al temuto burnout (un insieme di sintomi che deriva da una condizione di stress cronico e persistente, associato al contesto lavorativo), le piccole sfide quotidiane da superare sul posto di lavoro hanno una funzione importante, quella di agire da stimolo per attingere alle proprie capacità e competenze. Spesso però accade il contrario, con la sensazione, soprattutto di fronte a mansioni ripetitive, di una demotivazione lavorativa, un calo di energie, una sorta di indolenza che prende il nome di rust-out.
Di cosa si tratta
Viene definita come una condizione che scoraggia migliaia di lavoratori, rendendoli insoddisfatti e con sempre meno energie mentali. Accade soprattutto a chi sta fermo troppo a lungo perdendo di vista gli obiettivi, sentendosi sempre più arrugginito, con la conseguenza di non riuscire a produrre idee nuove o a dare un contributo attivo alla realtà con cui collabora. Questo, anche se viene associato ad un meccanismo professionale, ha un impatto anche in altri ambiti della vita, portando le persone a sentirsi bloccate e infelici.
Così come il burnout, Il rust-out non è un fenomeno recente, anzi, si tratta di una condizione di disagio emotivo presente da tempo nei lavoratori, soltanto che fino ad ora non si era compresa la gravità e le implicazioni nella vita delle persone. L’attenzione su questo è salita nel periodo della pandemia, che ha aperto una profonda riflessione sull’equilibrio tra la carriera e vita privata, e si è passati a considerare questo disagio non più come disinteresse al lavoro, ma come un’importante calo di energia dovuto alla mancanza di stimoli.
Le cause del rust-out
In un periodo in cui spesso il lavoro è una chimera, può sembrare strano che chi lo ha possa in qualche modo perderne interesse: questo ha però poco a che fare con la volontà delle persone perchè si tratta di una demotivazione che riflette invece il funzionamento normale dell’organismo, e rappresenta una risposta fisiologica di adattamento alla routine. “Quando ci troviamo davanti a compiti che cominciano a diventare routinari, magari perché abbiamo ormai acquisito esperienza nel portarli a termine, si innesca un meccanismo detto ‘di conservazione delle risorse’ – spiega il Professor Pantaleo, Ordinario di Psicologia sociale presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute di Milano – L’organismo fornisce cioè minori risorse energetiche per svolgere quei compiti e questo si traduce, dal punto di vista psicologico, in uno stato di demotivazione“.
Questo perché il nostro organismo investe energie motivazionali in proporzione alle difficoltà che si incontrano nell’affrontare un compito: più sarà complicato, più verranno investite energie per svolgerlo. Quando invece questo è ripetitivo, poco coinvolgente, il nostro corpo risponde fornendo meno energie anche a livello psicologico, con la conseguente riduzione della motivazione. Questo meccanismo di “risparmio energetico” del nostro organismo, dà vita ad una sorta di paradosso: quando i compiti da svolgere diventano troppo facili, spesso non vengono eseguiti al meglio. Perché noia e mancanza di motivazione, possono avere un effetto negativo sul rendimento.
Non si può fare ovviamente di tutta l’erba un fascio, ma questo potrebbe in maniera elementare spiegare come spesso lavorando “meccanicamente” e senza concentrazione, si è più distratti e si commettono facilmente più errori. Per questo in ambito lavorativo sarebbe importante mettere le persone in condizione di una crescita professionale, perché altrimenti anche quelle più esperte, svolgendo sempre le stesse mansioni o ricoprendo la stessa posizione, rischiano di arrugginire e diventare una risorsa sprecata.
Chi colpisce principalmente
È una patologia che può colpire allo stesso modo dirigenti e operai se le loro ambizioni non coincidono con la posizione che rivestono e con le sfide quotidiane che devono affrontare. È significativo però il fatto, che tende a riguardare soprattutto le donne dal momento che per loro è più difficile ottenere gli stessi riconoscimenti dei colleghi uomini, con il risultato che spesso non si sentono abbastanza motivate e valorizzate e pur lavorando più duramente di chi le circonda, non accedono alle opportunità che meriterebbero, riscontrando quindi difficoltà ad andare avanti.
Come liberarsi dal rust-out
Il segreto per uscire da questa condizione, sembra essere il giusto equilibrio tra la pressione lavorativa eccessiva e rimanere nella propria comfort zone che di sicuro è più semplice, ma rischia di minare la motivazione con effetti negativi anche sul proprio benessere fisico. “A tal proposito esiste un principio interessante che deriva dalla cosiddetta ‘esperienza di flusso’ – spiega ancora il Professor Pantaleo in un’intervista – Quando un compito è moderatamente sfidante, tendiamo a entrare in uno stato che viene definito appunto ‘esperienza di flusso’. Tendiamo cioè a essere tutt’uno con ciò che stiamo svolgendo, traendone anche piacere“.
Spiega ancora il professore: “Tale principio fa riferimento dunque a una finestra ottimale, al di fuori della quale si rischia di provare noia (richieste insufficienti) e ansia (richieste eccessive). Quando infatti i compiti da svolgere sono poco sfidanti, tendiamo a vivere la situazione come noiosa. Quando sono al contrario troppo sfidanti quello che succede è provare uno stato d’ansia, accompagnato dal timore di non farcela e di non essere all’altezza. Il segreto è dunque riuscire a trovare e mantenere quella finestra ottimale. Alzare l’asticella e fare in modo di confrontarsi con compiti che siano, di volta in volta, più sfidanti e quindi anche più interessanti”.
Leggi anche: