Cara Katia,
il fenomeno delle baby-gang è dilagante, soprattutto nelle grandi città, ma non soltanto. Una volta, quando io ero piccino, c’erano i bulletti che a scuola magari facevano i gradassi contro i compagni più timidi. Io stesso fui vittima di bullismo. Un giorno, mentre mi recavo verso l’istituto scolastico, due ragazzini mi presero di mira lanciandomi addosso una grossa palla di neve. Attraversai la strada e presi per l’orecchio uno dei due spingendolo verso terra. Scapparono via terrorizzati. Va da sé che non accadde mai più nulla di simile, dal momento che di norma il bullo non è che un soggetto profondamente fragile il quale si accanisce nei confronti di colui che percepisce essere debole o indifeso. Nel romanzo Cuore di Edmondo De Amicis viene rappresentata molto bene questa realtà. Esso è la testimonianza del fatto che i bravacci sono sempre esistiti. C’è però una differenza sostanziale tra quelli di una volta e quelli odierni. Una volta erano bulli, i quali magari rubavano la marmellata alla nonna, quelli di oggi sono delinquenti che finiscono anche in galera e che hanno una fedina penale talmente sporca che il curriculum di Al Capone risulta quasi quasi pulito tanto da farne un dilettante.
So che potrei essere tacciato di razzismo riportando questa verità, ma non me ne frega nulla. Il buon giornalista deve accettare il rischio di essere criticato per avere affermato il vero. Ebbene, queste bande sono costituite in particolare da stranieri, meglio, da extracomunitari. Quindi, esse non sono che una delle tante conseguenze negative di una immigrazione mal gestita o non gestita nonché il segno di una integrazione mai avvenuta o impossibile. I minori extracomunitari facenti parte di queste bande, che sono immigrati di prima o di seconda generazione, dimostrano un disprezzo dell’autorità che evidentemente deriva da un disprezzo nei confronti dello Stato appreso e interiorizzato in famiglia.
Ma non mancano bulli e criminali in erba di nazionalità italiana, diciamo nostrani. Anche la quota di questi è cresciuta in modo esponenziale. Tu mi chiedi il motivo. A mio avviso, esso risiede nella nuova cultura che si è imposta negli ultimi lustri, tesa a deresponsabilizzare i fanciulli. È come se gli adulti volessero tutelarli dall’assunzione di responsabilità verso se stessi e di responsabilità in relazione alle loro azioni. Il fenomeno è ben visibile all’interno della scuola. E ti riporto un fatto che mi ha molto colpito, accaduto qualche giorno addietro. Su un quotidiano ho letto di una docente di un istituto scolastico pugliese la quale ha messo ad un suo allievo, sul registro elettronico, il voto -1, voto con il quale è chiaro l’insegnante, esagerando nell’abbassare il voto, intendeva aiutare il discente a divenire consapevole dell’inopportunità della propria condotta, spingendolo dunque a non porre più in essere determinati atteggiamenti. A quanto pare, il ragazzino stava chiacchierando con il compagno durante la lezione. Mi stupisce che questo episodio sia divenuto addirittura una notizia riportata da fogli nazionali. Un tempo prendere un brutto voto non era un fatto degno di cronaca. Adesso scandalizza. Qualcuno sostiene che attribuire voti scarsi demoralizzi lo studente, che occorra contenersi. Beh, anni fa si diceva che fosse necessario studiare ed essere disciplinati per ottenere buoni voti o quantomeno la sufficienza. A lamentarsi del -1 è stata la mamma del ragazzo, intervistata dai giornalisti ancora prima di interloquire con l’insegnante. Andare a fare subito rimostranze avrebbe solo rafforzato il sentimento negativo di mio figlio nei confronti della scuola: lui già non la ama, non si sente accolto, valorizzato. Certamente vorrò sapere le motivazioni che hanno spinto la docente ad assegnare il -1 a mio figlio. La professoressa ritiene davvero di avere fatto bene il suo lavoro?, ha spiegato la madre del discolo.
Penso che la donna, la quale questiona sulla professionalità altrui, non abbia afferrato che il dialogo genitori-insegnanti non implica né obbliga ad uno scontro, quindi qualora ella fosse andata dalla professoressa per capire le ragioni di quel voto, non avrebbe per forza di cose favorito il sentimento negativo del figlio verso la scuola. Anzi, quell’incontro avrebbe potuto essere una occasione per confrontarsi pacificamente e spiegare insieme al ragazzo l’importanza sia di rispettare chi sta lavorando (l’insegnante) e di ascoltare chi parla sia di stare in silenzio durante la lezione, evitando di disturbare non solo la docente ma anche i discenti, desiderosi di apprendere. La genitrice però ha scelto l’approccio opposto, ovvero quello che oggi va per la maggiore: cioè di fare del proprio figlio una vittima, vittima della scuola che non lo farebbe sentire accolto e valorizzato povero cucciolo e dell’insegnante crudele, la quale tuttavia non ha fatto altro che compiere il suo mestiere, che consiste anche in questo, ossia nel dare un brutto voto, magari anche pessimo o sotto lo zero, a chi se lo merita. E trovo che questo sia altamente educativo, non punitivo.