Stavolta è troppo, persino per la coriacea sindrome di Stoccolma del Pd.
La supercazzola filo-Trump di Giuseppe Conte, che in tv da Fabio Faziosi si è esibito in anguillesche giravolte pur di non spiegare se preferisce che in Usa vinca l’ex presidente populista che ha fomentato l’assalto a Capitol Hill per rovesciare l’esito del voto, o il democratico Biden, è un problema che non si può ignorare. E così persino la timida Elly Schlein fa trapelare sconcerto per quella che definisce «l’incertezza di Conte tra Biden e Trump»; mentre un esponente della sinistra Pd filo-grillina come Arturo Scotto ammonisce: «Non è la stessa cosa avere come interlocutore un golpista o un democratico». Assai più netto il padre fondatore dell’Ulivo, Arturo Parisi: «E questo sarebbe il riferimento dei progressisti e il ‘principale alleato’ di Schlein?», si chiede inorridito. «Non si può essere equidistanti, dopo Capitol Hill Trump va considerato un eversore. Conte lo capisce?», esplode Alessia Morani. Durissimi anche Carlo Calenda («Se Trump vincesse l’Europa salterebbe per aria. Probabilmente Conte ne sarebbe contento, ma il Pd come può considerarlo ancora un partner?») e Matteo Renzi («Un uomo senza dignità, una banderuola che cambia idea a seconda delle convenienze»).
Ma stupisce lo stupore del Pd: il deciso penchant di Conte per leader e regimi illiberali e il suo trasformismo in politica estera non sono certo una novità. Il capo grillino, unico ad essersi inchinato in Ue alla «Via della Seta» della dittatura cinese di Xi, è lo stesso che rifiutò di pronunciarsi sul duello Macron-Le Pen del 2022: «Non partecipo alle elezioni francesi», disse, e figuratevi il sollievo dei francesi. Con Trump, del resto, ha un’antica consuetudine: l’allora premier si prestò volenteroso a ogni richiesta della Washington di The Donald, incluso il via libera a oscure missioni in Italia dei suoi emissari, a caccia di stravaganti complotti anti-Biden per aiutare Trump nelle elezioni. Lui, in cambio, lo ribattezzò grato «Giuseppi, my guy».
Conte, che anche da Fazio ha ribadito la sua posizione «pacifista» filo-Mosca (in sintesi: smettiamo di aiutare l’Ucraina e costringiamola a cedere i propri territori alla Russia) è anche quello che concordò con Putin la torbida missione «Dalla Russia con amore» della primavera 2020. Decine e decine di mezzi e uomini (in maggioranza militari, molto probabilmente spie) del dittatore russo, autorizzati per settimane a girare in lungo e in largo l’Italia e i suoi edifici pubblici e laboratori medici, in pieno lockdown. Pagati da noi. Sempre nell’aprile 2020 Conte incassò giulivo anche la «solidarietà» e i complimenti del presidente iraniano Rouhani, ricambiandoli di cuore e auspicando uno «scambio di esperienze nella lotta al Covid». Con gli ayatollah. Le agenzie ufficiali iraniane annunciarono, senza smentite da Palazzo Chigi, che nella telefonata l’ex premier italiano avrebbe persino lodato «il ruolo costruttivo di Teheran nella pace e nella lotta al terrorismo». Grande lungimiranza e intuito geopolitico, non c’è che dire. Al Pd non resta che scoprire, con sconcerto, che due più due fa quattro.