Il rosso e la rossa. Un gioco di parole, in fondo banalità prêt à porter in un giorno così grasso e ingordo di orgoglio e felicità per il nostro Paese. Jannik Sinner e la Ducati, un ragazzone che sembra tedesco ma è tutto italianissimo e una corazzata che pare italiana ma è tutta tedesca. Questione di carta d’identità per il ragazzo, e di proprietà per la meravigliosa azienda di Borgo Panigale. In mezzo, al centro, dentro, ovunque tanta e sola italianità: per i natali sportivi di Jannik, le prime racchette prese in mano in Alto Adige e quel viaggio di sogni e aspettative, bambino tredicenne, a Bordighera, alla corte di coach Piatti; e italianità per i cervelli che da sempre popolano e progettano la rossa realizzando sogni a 300 all’ora lungo la tangenziale sempre in coda di Bologna.
Italianità sublimata nel tennis dalla vittoria di una coppa, che magari non sarà più quella mitica di quarantasette anni fa in Cile, ma riveduta e peggiorata resta pur sempre un trofeo che ci mancava da una vita e pareva non voler mai più tornare. Italianità che in sella alla Ducati corre nascosta sotto il casco di un altro ragazzo semplice e riservato, Francesco Pecco Bagnaia, anche lui figlio di un sogno e di un viaggio, dal Piemonte a Tavullia, alla corte di altro coach, Valentino Rossi.
Pecco che non riporta il titolo in Italia dopo 47 anni ma concede il bis un anno dopo, cosa che in passato nella classe regina era riuscita solo ad Agostini e proprio a Valentino. Jannik e Pecco, l’altoatesino e il torinese, giovani accomunati dall’enorme talento ma anche dal quel modo di vivere un po’ nascosto e di vincere come fosse cosa banale. Senza eccessi, senza show, con la racchetta in mano, il casco in testa, scegliendo però stesso giorno e stesso luogo: una straordinaria domenica spagnola.