La campagna per i pandoro rosa avrebbe prodotto un danno «esiguo» per il singolo consumatore (poco più di 9 euro per quelli griffati Ferragni invece che 3,70 euro), ma «globalmente rilevante, in concomitanza degli innumerevoli acquisti avvenuti sul territorio nazionale». E avrebbe anche contribuito a un «rafforzamento mediatico» dell’immagine della influencer.
Insomma, Chiara Ferragni non solo avrebbe guadagnato – grazie alle iniziative di beneficenza – il cachet ottenuto da Balocco a Natale dello scorso anno (1 milione di euro a fronte di una donazione complessiva da 50 mila euro all’ospedale di Torino). Ma avrebbe anche ottenuto profitti grazie al «crescente consenso ottenuto veicolando una rappresentazione di sé strettamente associata all’impegno personale della charity». La procura generale della Corte di Cassazione traccia inevitabilmente alcune valutazioni sulle ipotesi investigative che riguardano i fascicoli per truffa aggravata, nel provvedimento con cui attribuisce l’inchiesta a Milano dopo il conflitto di competenza con Cuneo. Spiegando che se da un lato l’immagine cristallina della influencer da 30 milioni di follower avrebbe indotto i consumatori a credere nella «serietà» della finalità benefica dell’iniziativa, dall’altro – proprio grazie all’iniziativa stessa – Ferragni avrebbe guadagnato ancora di più, se non altro in termini di reputazione. Dal provvedimento emerge anche un quarto indagato nell’affare Balocco e anche in quello sulle uova Dolci Preziosi e cioè il braccio destro di Ferragni nonché manager Fabio Maria Damato. Dal decreto della procura generale della Cassazione – che stabilisce in sostanza che la competenza è milanese perché nel capoluogo lombardo sono stati stipulati i contratti tra le aziende di Ferragni e le altre – è che in tutte e tre le campagne coinvolte nell’indagine (c’è anche quella sulla bambola Trudi con le sembianze di Ferragni) l’influencer ha pubblicato sui social post, stories e «video fuorvianti» per i consumatori. Sottolineando quindi che sussiste una «unitaria programmazione, nell’ambito di un medesimo disegno criminoso» e facendo riferimento «all’analogia del modus operandi e al lasso temporale che separa i diversi episodi». C’è di più. Non passa inosservata infatti nel documento la citazione di una recente sentenza della Suprema Corte, secondo la quale «la sola menzogna è di per sé sufficiente a integrare gli elementi costitutivi del delitto di truffa, costituendo una tipica forma di raggiro». Insomma, l’ipotesi di truffa sembra sussistere, almeno secondo le pronunce più recenti. Emerge infine che anche la procura di Cuneo aveva aperto altri due fascicoli (a modello 45, senza ipotesi di reato né indagati) sull’affaire Ferragni. E cioè quello sulla campagna pubblicitaria della società Oreo, promossa nel periodo del Covid 19, e un altro sulle donazioni Soleterre, per il reparto pediatrico all’ospedale San Matteo di Pavia.