La notizia è di quelle che fanno tremare l’Unione Europea, soprattutto in vista Consiglio europeo di giovedì: l’Ungheria sarebbe a rischio boicottaggio economico, qualora il premier Viktor Orban dovesse ancora fare ostruzionismo circa l’accordo sulla revisione del bilancio pluriennale, ma soprattutto sui 50 miliardi di euro per l’Ucraina. Nello scenario ipotetico, Bruxelles taglierebbe i finanziamenti, provocando meno investimenti dei mercati, il che potrebbe innescare rapidamente un ulteriore aumento del costo del finanziamento del deficit pubblico e un calo della valuta.
Le rivelazioni del FT sul piano anti-Orban
Ma chi ha sganciato la bomba? Ieri, dalle colonne del Financial Times, Henry Foy and Andy Bounds (da Brussels) and Marton Dunai (da Budapest) hanno messo la firma su un pezzo intitolato Brussels threatens to hit Hungary’s economy if Viktor Orbán vetoes Ukraine aid nel quale si parla di un fantomatico “documento redatto dai funzionari Ue e visionato dal FT” che proverebbe l’esistenza di un piano anti-Orban: un pezzo al fulmicotone, quanto basta per far scattare a Bruxelles il gioco del “non sento, non vedo, non parlo”. La Commissione, infatti, continua a sostenere di non aver visto questo documento. Dal canto suo, un alto funzionario Ue avrebbe spiegato che “il documento è una nota informativa redatta dal Segretariato del Consiglio sotto la propria responsabilità, che descrive lo stato attuale dell’economia ungherese” e che “è basato sui fatti che non riflettono lo stato dei negoziati in corso sul Quadro finanziario pluriennale tra gli sherpa e a livello dei leader dell’Ue“. In sostanza: nessun piano contro Budapest.
L’Ue vuole privare Orban del voto?
Le coincidenze temporali, però, risultano alquanto sospette: non più tardi di venerdì sulla stampa e negli incontri di Bruxelles era stata fatta circolare la possibilità di attivare l’articolo 7 del Trattato Ue per privare Orban del diritto di voto al Consiglio europeo, di fatto estromettendo l’Ungheria. Una misura draconiana sulla quale non è mai esistito consenso, a causa dell’opposizione di Varsavia, che avrebbe fatto mancare l’unanimità in caso di voto: ma oggi in Polonia c’è Donald Tusk, e Orban dovrà trovare supporto altrove. Al di là dell’esistenza o meno del documento, le reazioni che ha scatenato anche la sua paventata esistenza hanno già prodotto degli effetti.
Non sarebbe la prima volta che Bruxelles utilizza la leva finanziaria per costringere membri a rigar dritto (è accaduto con la stessa Ungheria, ma anche con la Polonia e la Grecia), ma la strategia di fiaccare l’economia di uno Stato membro è una novità per l’Europa. Restando sul piano delle coincidenze, secondo il consigliere politico dell’esecutivo ungherese Balazs Orban, Budapest ha inviato sabato una nuova proposta a Bruxelles, specificando che ora è disposta a utilizzare il bilancio dell’Ue per il pacchetto Ucraina e persino a emettere debito comune per finanziarlo: unica richiesta, che i 50 miliardi vengano erogati in quattro pagamenti annuali da 12,5 miliardi di euro, che siano sottoposti a periodica verifica e che l’Ue proroghi la scadenza per la spesa dei fondi del Pnrr oltre l’agosto del 2026.
Chi vuole spaventare Orban?
Dall’intera vicenda sgorgano diversi quesiti. Con chi ha parlato il Financial Times? Il documento visionato dai tre giornalisti è stato dato in pasto alla stampa con quale intenzione? Se la Commissione continua a sostenere di non conoscere il documento, alcuni diplomatici “non meglio identificati”, citati dal Telegraph, lo hanno descritto come uno “spin”: il dossier sarebbe, secondo le fonti, frutto della evidente esasperazione dei 26 nei confronti della capacità di Budapest di intralciare le decisioni europee. Del resto, l’Unione ha potuto tirare un respiro di sollievo solo nelle ultime 48 ore, quando è sfumata l’ipotesi di ritrovarsi Orban presidente del Consiglio Ue: l’eventuale candidatura di Charles Michel alle elezioni europee, avrebbe infatti incoronato pro-tempore il premier ungherese, in quanto leader del Paese che deterrà la presidenza del Consiglio dell’Unione da luglio (da non confondersi con il Consiglio Europeo). La rinuncia di Michel è espressione di un timore diffuso in Europa del trattamento di Orban a stregua di nemico n.1.