C’è un quarto indagato nella inchiesta sulla presunta truffa dei pandoro rosa Balocco, delle uova e della bambola Trudi. Si tratta di Fabio Maria D’Amato, il braccio destro della influencer Chiara Ferragni, su cui erano girate voci a dicembre di un presunto licenziamento da parte del marito e rapper Fedez. Lo si apprende dal provvedimento con cui la procura generale della Corte di Cassazione dà ragione agli inquirenti milanesi rispetto alla “competenza” dell’inchiesta e che era stata rivendicata anche dalla procura di Cuneo. Sempre dal provvedimento emerge che la procura di Cuneo aveva aperto fascicoli sulla campagna pubblicitaria della società Oreo, promossa nel periodo del Covid 19, e un altro sulle donazioni Soleterre, per il reparto pediatrico all’ospedale San Matteo di Pavia.
Provvedimento in cui è riportato il parere del procuratore aggiunto di Milano Eugenio Fusco, secondo il quale, a fronte di un “danno singolarmente esiguo per il singolo consumatore”, c’è stato un danno “globalmente rilevante, in concomitanza degli innumerevoli acquisti avvenuti sul territorio nazionale”. Il procuratore Fusco precisa che il “profitto della truffa non deve necessariamente sostanziarsi in un vantaggio di natura puramente patrimoniale” e anzi che il profitto di Ferragni sarebbe stato anche il “rafforzamento mediatico” dell’immagine della influencer “dal momento che la stessa trae profitto dal crescente consenso ottenuto veicolando una rappresentazione di sé strettamente associata all’impegno personale della charity ed in tal senso è stata orientata anche la campagna pubblicitaria per le uova Dolci preziosi, per il quale è stato erogato un compenso di 500 mila euro nella pasqua 2021 e da 700 mila in quella dell’anno successivo”.
In pratica, la tesi degli inquirenti è che il profitto di Ferragni non sia stato solo il famoso cachet da 1 milione di euro (a fronte di una donazione da 50 mila euro per l’ospedale Regina margherita di Torino) ben prima della campagna di vendita dei pandoro. Ma anche appunto il “rafforzamento mediatico” della sua immagine: una reputazione resa ancora più forte grazie all’attività di beneficienza. Nel provvedimento si fa infine riferimento a una recente sentenza della corte di Cassazione, la 2886 del 2024, secondo la quale “la sola menzogna è di per sé sufficiente a integrare gli elementi costitutivi del delitto di truffa, costituendo una tipica forma di raggiro: essa è un fatto attraverso il quale si crea una suggestione che tende a insinuare nella mente della parte offesa un erroneo convincimento su una situazione che non ha riscontro nella realtà”.