L’assistenzialismo condanna il Sud: l’assegno non serve

L'assistenzialismo condanna il Sud: l'assegno non serve

Per chi conosce le logiche distributive che caratterizzano l’Italia non è sorprendente scoprire, come emerge da una tabella Inps, che il 53,76% degli assegni di inclusione sia oggi destinato a famiglie della Campania e della Sicilia. Introdotto per sostituire il reddito di cittadinanza, questo assegno è attribuito sulla base di taluni requisiti (economici, familiari e di altro tipo) ed è condizionato all’accettazione di un percorso d’inserimento nel mondo del lavoro. Come spesso succede, le intenzioni possono anche essere buone, ma sono i ben scarsi risultati che ci interessano.

In tema di welfare ha ragione chi afferma che c’è qualcosa di discutibile nell’idea che il sostegno ai più deboli debba essere monopolizzato dallo Stato centrale: escludendo e marginalizzando le realtà locali, le associazioni volontarie e le fondazioni filantropiche. Ma al di là di questo è la stessa concentrazione degli aiuti in due sole Regioni che obbliga ad ulteriori considerazioni.

La politica italiana, in effetti, rischia di produrre la cronicizzazione di una situazione di debolezza e basta una considerazione assai semplice per evidenziare questo aspetto. Di fronte a una ricchezza distribuita in maniera assai diseguale tra Bolzano ed Enna, infatti, fissare un’unica soglia ISEE nazionale finisce per connotare come in condizione di svantaggio molte famiglie del Sud che non necessariamente sono tali.

Non si tratta soltanto di ricordare come il costo della vita sia diverso da una realtà all’altra, ma anche di avere presente che il concetto di povertà è relativo e legato, di conseguenza, ai diversi contesti. Chi guadagna 9 mila euro è molto più povero in certe aree d’Italia invece che in altre. Analogamente, è noto che la stragrande maggioranza dei redditi lombardi si colloca al di sotto della soglia di povertà svizzera: questo non autorizza però a dire che essi siano davvero in una condizione economica bisognosa di aiuti.

Avere adottato la stessa misura in tutta Italia non soltanto discrimina taluni poveri a danno di altri: produce soprattutto una situazione in cui intere comunità possono trovare più razionale e conveniente dipendere dal soldo pubblico invece che puntare sull’intraprendenza, sulla voglia di fare, su un lavoro che si mette al servizio del prossimo.

Qui non si tratta di contrapporre un’Italia all’altra. Si tratta invece di capire quanto sia devastante un soccorso che non interviene in situazioni eccezionali e al limite, ma invece diventa una normale forma di vita: magari modesta, ma stabile e fondata sull’assurda idea che ci sarebbero intere aree incapaci di essere dinamiche e produttive.

Il Mezzogiorno ha subito molti danni dalle politiche italiane. Dalla fine della guerra, in particolare, esso è vittima di un assistenzialismo che ha progressivamente alterato la cultura e lo spirito di quanti vivono in tali territori. Un ripensamento di tali politiche, e dell’assistenzialismo su cui poggiano, è perfino più necessario agli interessi del Sud che a quelli del Nord.

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