Nuovo fine settimana, nuova mandata di partite del massimo campionato di calcio che, causa miracolo di un giovane altoatesino dall’altra parte del mondo, finisce quasi per passare inosservato. Proprio quando cinquanta milioni di allenatori si scoprono di colpo esperti di tennis, la Serie A ha offerto, come al solito, parecchie storie interessanti. Cosa si è visto su e giù per l’Italia? Un bomber implacabile che tiene a galla la capolista, un altro che, invece, non basta, un paio di talenti tornati grandi, un biscotto indegno e troppi calciatori professionisti che tornano bambini dal dischetto. Parecchie cose interessanti come al solito, che trovate elencate dal meglio al peggio nel nostro pagellone del lunedì.
Il mago Gasp: CdK è un altro (8)
La sensazione è che quando si parla di Atalanta non esistano mezze misure. Si passa senza soluzione di continuità da pensare che Gasperini sia finito a considerarlo meglio di Guardiola. Chiaramente, dopo la clinica di calcio mostrata contro un Udinese molto migliorata, siamo più vicini al secondo eccesso. La Dea non ha schiantato la concorrenza, non ce n’era bisogno, specialmente quando puoi contare su una serie di giocatori immarcescibili. Carnesecchi mette un paio di parate clamorose, Kolasinac torna quello visto all’Arsenal e passa dalle barricate in difesa a spingere sulla fascia come un forsennato mentre le partite di De Roon ed Ederson ormai non fanno quasi più notizia, tanto sono precise ed equilibrate.
La differenza la fanno tre ex dimenticati, talenti cristallini che sembravano essersi persi per strada, affossati dalle troppe aspettative e che, invece, da quando sono arrivati a Zingonia, sembrano rinati. Miranchuk distribuisce palloni come se niente fosse e nel primo tempo è quasi immarcabile: sia lui che Scamacca meriterebbero le prime pagine dei giornaloni, anche se sono un po’ calati nella ripresa. La rinascita più clamorosa, però, è quella di Charles De Ketelaere, che è lontano mille miglia dal ragazzo timido, impaurito, visto a Milanello. Le giocate le provava sempre anche quando vestiva la maglia del Milan ma ora, come ai tempi di Bruges, gli riescono quasi tutte. Non solo fornisce entrambi gli assist ma regala anche un pallone che per poco Holm non trasforma in un golazo epico. A 67 anni, il Gasp si è costruito una squadra quadrata, esperta, che gioca un gran calcio. Sottovalutarla potrebbe costare carissimo a chiunque.
No Lautaro, no party (8)
La Beneamata arriva al Franchi con l’obbligo di strappare tre punti contro una squadra mai semplice come la Fiorentina, peraltro col dente avvelenato dopo la batosta in Supercoppa. Scendi in campo senza metà del centrocampo titolare, con una squadra che è a corto d’ossigeno e ti aspetti di soffrire come un cane. L’Inter non mette certo la partita della vita ma, chissà come, torna in testa approfittando del passo falso della Juventus. Inzaghi le imbrocca tutte, da un Frattesi dinamico ad un buon Carlos Augusto ma i tifosi nerazzurri soffrono fino all’ultimo secondo. Chi si presenta per salvare baracca e burattini? I due acquisti discussi dell’estate, quel Pavard che cresce di partita in partita e il granitico Sommer, che tira fuori dalla porta due gol fatti.
L’Inter, però, non può fare a meno del nucleo emotivo di questa squadra, quel capitano che, una volta vinto il mondiale da comprimario, sembra aver cambiato finalmente marcia. Lautaro Martinez è l’unico insostituibile in questa squadra, non solo perché segna sempre le reti importanti, quelle che alla fine dell’anno faranno parte del film del campionato. Il Toro è leader in campo, trascina col suo entusiasmo i compagni e risolve situazioni complicate come se fossero la cosa più semplice al mondo. Spunta ovunque, abbraccia il tifoso che gli chiede un selfie in campo e, tanto per gradire, ha già segnato tanti gol quanto Maurito Icardi. Se non ci fosse andrebbe inventato.
Il talento di Mister Gila (7,5)
Non passo da Genova da qualche anno ma sono curioso di sapere come stanno vivendo questa stagione i fedelissimi del Grifone. Spero si rendano conto che il lavoro messo da Gilardino in condizioni spesso non semplici è stato quasi miracoloso. I soliti criticoni verranno fuori a dire che è fortunato e che quel che la Dea Bendata concede, prima o poi toglie – con gli interessi. Possibile ma non probabile. Non è un caso che, proprio quando le tante assenze rischiavano di inceppare il suo Genoa, sia sempre in grado di trovare qualcosa in grado di portare a casa la vittoria. Quando la difesa mette una prestazione mediocre e lo stesso Malinovskyi fatica tantissimo lontano dalla porta, trova il cambio giusto in un Ekuban in serata di grazia che regala un gol memorabile.
Se Gudmundsson sembra l’ombra di sé stesso, trova comunque un lampo sulla punizione che vale il gol di Retegui, un altro che riesce a trasformare una prestazione orribile in una vittoria fondamentale per la stagione del Genoa. L’ex Tigre fa seguire al tap-in una sponda che apparecchia un banchetto sul quale Ekuban si avventa. Aggiungi le paratone di Martinez, la solidità di uno Strootman anche se a corto d’ossigeno, la spinta di Sabelli ed il gioco è fatto. Sulla carta sembra semplice ma strappare tre punti dopo un primo tempo orribile ad una squadra rognosa come il Lecce non è roba da tutti. Invece di spiegare tutto con la fortuna, non è più facile ammettere che il Gila, anche in panchina, ha un gran fiuto? C’èst plus facile.
L’Empoli di Nicola fa sul serio (7)
Chi pensa che gli allenatori di calcio siano pompati da noi giornalisti si vada a vedere gli highlights delle partite dell’Empoli dopo l’arrivo di Davide Nicola in panchina. Si dice che dopo un cambio di allenatore ci sia una specie di luna di miele, dove tutti vogliono fare il massimo per guadagnarsi le simpatie del nuovo arrivato. Sarà, ma strappare un punto all’Allianz Stadium, dove solo Bologna e Inter erano riuscite a non prenderle non capita tutti i giorni. Il bello è che l’Empoli gioca pure bene e riesce ad andare anche quando alcune stelle non sono in giornata. La difesa, guidata da un Walukiewicz impeccabile, ha sofferto poco o niente, a parte la rasoiata di Vlahovic ma è il resto dei toscani a dover sopperire ad alcune prove dimenticabili.
Zurkowski, ad esempio, mette tanta qualità ma meno brio che nelle prime due ad Empoli mentre la partita di Grassi è da dimenticare, come le prestazioni di Cerri e Cancellieri, due che erano stati da applausi all’inizio dell’era Nicola. Tanto imprecisi loro, quanto devastante è l’ingresso di Baldanzi, che oltre al gol dà la scossa nel finale. Se Maleh parte piano ma si scioglie nel secondo tempo, l’anima e il cuore di questa squadra è Nicolò Cambiaghi. L’azzurrino dell’Atalanta è sempre pericoloso, anche quando l’Empoli rischia di perdersi, guizzando da una parte all’altra del campo. Quando un gruppo entra in fiducia è in grado di fare di tutto. Facendo bene le prossime con Genoa e Salernitana, l’Empoli potrebbe svoltare la stagione. E sarebbe tutto merito di Nicola.
Meno male che Kaio c’è (7)
Uno dei vantaggi di dover seguire tutta la Serie A e non solo le partite di cartello è che ti rendi conto di quanto il calcio di provincia abbia fatto enormi passi avanti. Invece delle squadre sparagnine, quelle che superavano a malapena la metà campo e vivevano per lo 0-0, oggi abbiamo squadre come il Frosinone di mister Di Francesco, che sembra fatto apposta per far bene al cuore di chi vuol bene al calcio. Anche in una partita di quelle da lacrime e sangue, in un Bentegodi furibondo dopo la svendita di mezzo Hellas, i ciociari continuano a giocare alla grande, strappando un punto niente affatto scontato ad una rivale diretta. Non tutto è perfetto, ci mancherebbe: il primo tempo di Bourabia, ad esempio, è da galleria degli orrori, visto che procura due calci di rigore prima di venir richiamato in panchina.
A spingere la barca del Frosinone, però, sono alcuni talenti che continuano ad essere criticati. Cosa dire, per esempio, di Stefano Turati? Dopo aver parato di tutto contro il Cagliari, non solo prende un rigore a Duda ma toglie dalla porta un gol sicuro di Henry. A fare la differenza è la legione sudamericana che, anche stavolta, risolve le cose per Di Francesco. Matias Soulé è elettrico in campo e mette punizioni deliziose, come quella che un altro bianconero in trasferta, Enzo Barrenechea, allunga per Kaio Jorge. Il finale di partita dell’ex Santos è quasi perfetto: dopo aver corretto in porta il gol dell’1-1 si ripete poco dopo superando Montipò. Peccato che Tchatchoua spazzi via sulla linea. Considerato quel che stanno facendo vedere in Ciociaria, non servono giocate da funamboli per garantirgli un futuro importante.
Il biscotto Olimpico (5)
Come si fa a commentare una partita giocata tra due squadre terrorizzate dall’idea di perdere? Sarebbe meglio andare oltre, ma uno spettacolo indegno come quello offerto agli spettatori paganti dell’Olimpico grida vendetta al cielo. Nel calcio ci sta tutto, anche parcheggiare l’autobus davanti alla porta ed aspettare il triplice fischio. Ci sta anche che gli spettatori se la leghino al dito e disertino in massa. Il brutto è che, guardando le prove dei singoli, le insufficienze non sono nemmeno tante. A parte un Raspadori che si smazza dimenticando però che i gol oggi avrebbe dovuto segnarli lui, nel Napoli si salvano tutti, a partire da un Lobotka quasi insuperabile. Rrahmani annulla Castellanos, Ostigard Felipe Anderson mentre Gaetano per poco non fa il furto del secolo nel secondo tempo. Il Napoli di Mazzarri è attento e motivato ma non avrebbe segnato nemmeno con le mani. Un po’ poco per chi porta lo scudetto sulla maglia.
La prova più sconcertante è però quella della Lazio, dalla quale, specialmente tra le mura amiche, ci si sarebbe aspettati molto di più. Fare a meno di Immobile e Zaccardi non è mai semplice ma una prova offensiva così deprimente da parte delle Aquile era da tempo che non si vedeva. Anche qui, difesa affidabile, a partire dall’eterno Romagnoli, centrocampo sufficiente, con un Guendouzi un po’ troppo impreciso e un Luis Alberto in giornata no. In avanti, invece, si salva ampiamente Isaksen, che parte fortissimo ed è sempre pericoloso dalla distanza. Fossero tutti vivaci come lo svedese la Lazio vivrebbe stagioni più tranquille. Il resto, invece, è da dimenticare: Felipe Anderson gioca in una posizione non sua ed evapora nel secondo tempo mentre Castellanos fa qualche bella giocata ma non si libera mai da Rrahmani. Troppo poco per una partita di vertice. Un punto volevano ed un punto è arrivato, anche se non serve a molto. Chiamatelo, se vi pare, biscotto. Non lo rende meno indigesto.
Pasticcio Juve, si salva solo Vlahovic (5)
Alle volte sembra proprio che gli dei del calcio si divertano a prendere in giro chi campa commentando il gioco più bello al mondo. Dopo aver passato settimane a glorificare il carattere della Juventus, il fatto che, anche nei momenti più difficili, l’undici di Allegri trovasse sempre il modo di rimettere in sesto le partite, ora tocca più o meno rimangiarsi tutto. Il pasticcio non è solo il fallaccio di Milik nei confronti di Cerri che lascia i bianconeri in dieci dal 16’ ma il fatto che la Juventus sembri aver perso di colpo tutte le sue sicurezze, tornando quella confusa e pasticciona d’inizio stagione. Quando anche Szczesny si supera su Cambiaghi ma non vede il tiro di Baldanzi, capisci che non ci siamo. La difesa non tradisce ma anche il tetragono Bremer non fa il solito partitone: vedi sopra per Gatti e Cambiaso, che in difesa deve migliorare parecchio.
Stavolta a tradire il tecnico livornese non sono i singoli ma l’intero gruppo, che è apparso in crisi d’idee e di condizione. Locatelli e Miretti calano molto alla distanza, Kostic non trova mai il modo di rendersi pericoloso mentre Weah e Iling-Junior mettono tanta volontà ma senza mai incidere. McKennie parte forte ma si fa male alla caviglia, limitando le sue proiezioni offensive: forse a questo momento sarebbe stato il caso di inserire Yildiz, che avrebbe potuto creare molti grattacapi alla difesa toscana. Chi si salva? Dusan Vlahovic, che prima costringe Caprile ad una paratona, si sacrifica in difesa fino a quando può finalmente segnare la rete numero 12 in campionato. Un passo avanti, due indietro. Se gli errori dei singoli li puoi correggere in settimana, specialmente senza le coppe, quando a far male è il gruppo, cosa ti inventi?
Pioli, lo stellone non basta (4)
Rischia oggi, rischia domani, prima o poi i miracoli finiscono. La prestazione che ha fatto imbufalire i fedelissimi del Diavolo contro il Bologna si potrebbe spiegare così. Lo stellone che sembrava proteggere la stagione del Milan (e la panchina di Pioli) ha deciso di averne abbastanza ed i rossoneri hanno lasciato per strada due punti pesanti. Che fosse una serata storta si era capito da subito, quando il solitamente granitico Maignan prima rischia su Fabbian e poi non è incolpevole sul gol di Zirkzee, deviazione a parte. Se la difesa regge, con un merito a Florenzi e Calabria per gli assist, se Pulisic gioca un primo tempo ottimo per poi calare, Pioli trova ancora una volta il salvatore della patria in un Loftus-Cheek che migliora minuto dopo minuto. Se il Milan non ha preso una dolorosa imbarcata è in gran parte merito suo.
Il problema è che, dopo tante partite da incorniciare, quasi tutti i protagonisti di questo periodo del Milan hanno fallito su tutta la linea: Theo Hernandez ha una serata da dimenticare in entrambe le fasi, rigore a parte, per non parlare di un Giroud che avrebbe bisogno di una vacanza immediata per ricaricare le batterie. Pioli, però, non ne imbrocca una che sia una: se anche quello Jovic che ha garantito punti su punti vaga in campo senza meta, se Reijnders non va oltre alla traversa al 64’, qualcosa non quadra. Leao la voglia ce la mette sempre e contribuisce anche nel finale, quando Pioli sbaglia ancora i cambi. Troppo facile prendersela con Terracciano, evidentemente troppo carico per il debutto a San Siro ma il problema vero è che il Milan aveva poca energia ed ancora meno idee. Da qui all’accodarsi al #PioliOut ce ne corre ma in un momento così critico serve una scossa. Lo stellone, da solo, non può bastare.
Viola, senza attacco non si va (4)
Uno di questi giorni bisogna che uno di quelli bravi faccia un salto al Viola Park e risponda alla domanda che ci perseguita da un po’: come si fa a perdere così tanto giocando così bene? Nella città del Giglio sono tanti i nemici di Italiano, gente che, forse, delle partite vede solo il risultato. La Viola esce dal Franchi con zero punti ma parecchie risposte importanti dopo l’incrocio con la capolista. Il tecnico trova due pezzi importanti affidandosi a Faraoni e Ranieri, davvero ottimi, Jack Bonaventura è una sicurezza che, senza un Sommer in serata di grazia, avrebbe garantito almeno un punto. Non bastasse riesce pure a rianimare Nzola, che ultimamente era apparso in grave crisi: fosse meno egoista potrebbe essere l’attaccante che serve come il pane.
Com’è possibile che la Viola torni a casa con le pive nel sacco? A tradire Italiano alcuni dei suoi capisaldi, quei giocatori sui quali ha costruito le fortune della sua Fiorentina. Se dalla cintola in giù le cose sono andate benino, i problemi si ripresentano in avanti, a partire da un Ikoné al limite dell’incomprensibile. Quando è in copertura fa disastri, come quando nel primo tempo regala un pallone a Lautaro che per poco Frattesi non converte nel 2-0, mentre in impostazione non ne imbrocca una. Se Beltran, costretto a giocare sulla tre quarti dal forfait di Sottil, si sacrifica tanto e fatica come un cane, rifilando sportellate a destra e manca, Italiano è tradito da uno dei suoi pretoriani, quel Nico Gonzalez il cui rientro era stato accolto con gioia. Un rigore del genere non lo tiravo nemmeno io, che al campetto venivo scelto sempre per ultimo. A questo punto il bel gioco non basta più. Servono punti, subito, prima che il treno Europa lasci la stazione.