“È il re del pianeta tennis. Non corre più su di me ma su fuoriclasse come Federer e Nadal”

"È il re del pianeta tennis. Non corre più su di me ma su fuoriclasse come Federer e Nadal"

Il rosso gliele suona anche al russo. Slam! Un «rumore» di gloria che, nel tennis, possono permettersi solo i big. E che invece, nei fumetti (sbam!), è tipico di chi sbatte la porta (preferibilmente in faccia a un altro).

Jannik Sinner è riuscito ieri a unire le due situazioni, vincendo lo Slam dell’Australian Open (a 48 anni dall’impresa di Andriano Panatta al Roland Garros il 13 giugno ’76) e a chiudere (sbam!) violentemente l’uscio sul volto sgomento del numero 3 al mondo, Medvedev, che dopo aver conquistato i primi due set si era illuso di portare a casa l’intero match.

Ma Daniil non aveva fatto i conti con quell’extraterrestre dell’altoatesino. Vero, Adriano?

«Da oggi il leader assoluto del pianeta tennis è un italiano. Si chiama Jannik Sinner, ha 22 anni, ed è un mostro di bravura. La sua corsa non è più su Adriano Panatta, ma su fuoriclasse come Federer e Nadal. E faccio una previsione: sarà amato da pubblico così com’è successo con Roger e Rafael».

Un sito specializzato in aforismi le attribuisce la paternità della frase «Saper giocare a tennis è diverso da saper vincere». Ma per Jannik non vale: lui sa giocare a tennis e sa pure vincere.

«Vero. Contro Sinner, al momento, non ce n’è per nessuno; ogni avversario esce con le ossa rotte».

Ieri Medvedev lo ha messo in difficoltà, ma alla distanza anche il russo è stato spazzato via.

«Gara dura, ma finita come da pronostico».

Lei l’aveva previsto.

«Non mi piace chi dice io l’avevo detto…».

Però…

«Un merito me lo riconosco: so riconoscere il talento».

E questo fenomeno dall’aspetto normale, di talento, ne ha da vendere…

«Ha solo 22 anni ed è già un giocatore eccezionale. Ma sa qual è la cosa più incredibile?».

Dica…

«Jannik ha ancora dei grandi margini di miglioramento».

Ma qual è il suo segreto?

«Non si sente appagato dai risultati. Vuole crescere. Ha faticato per arrivare dov’è, ma sa che deve continuare a sacrificarsi. E lo fa con l’impegno e la maturità del vero campione».

Poi c’è il fattore caratteriale.

«Personalmente non lo conosco bene, ma l’idea che mi sono fatto di lui è di un ragazzo che affronta la vita con serietà ma con senso dell’ironia».

E in questo ricorda un certo Panatta…

«Siamo di epoche diverse. Impossibile paragonarci. Posso invece fare una previsione».

Quale?

«Sinner è destinato ad essere amato come Federer e Nadal».

Addirittura…

«Jannik ha un’allure tutta sua. Mai fuori posto, mai una protesta, guardarlo giocare è sempre un piacere».

Il testimonial ideale per un tennis già ad alto tasso di civiltà, dove il pubblico non si abbandona a insulti vergognosi com’è capitato nel «caso Maignan».

«No. Per fortuna nel tennis non capita. Ma io, del razzismo – quello vero – sono stato testimone».

Racconti…

«Una volta partecipai a un torneo in Texas scoprendo amaramente che in quel circolo i tennisti di colore non potevano neppure entrare».

Per «sconfiggere» l’apartheid furono necessarie le vittorie di Arthur Ashe, primo tennista nero a imporsi sul proscenio internazionale.

«Arthur è stato un grande giocatore e un rivoluzionario: personaggio fondamentale per la crescita morale ed etica del nostro sport».

L’ha colpita vedere Djokovic così abbattuto dopo l’ultima sconfitta contro Sinner? Il serbo al termine del match ha sussurrato qualcosa all’orecchio dell’italiano poggiandogli la mano sulla spalla. L’immagine del re che abdica al trono…

«Prima o poi, se non abdichi volontariamente, c’è sempre qualcuno che ti detronizza. McEnroe fece smettere Borg; Becker fece smettere McEnroe; Sinner forse farà smettere Djokovic, anche se per Nole mi pare non sia ancora giunto l’inizio della fine. Tra i top player non va trascurato Alcaraz e qualche outsider che potrebbe spuntare all’improvviso».

Panatta multiforme. Quando aveva 30 anni era testimonial per la réclame della linea di «toilette maschile» Brut 33 con lo slogan: «Quando faccio qualcosa mi piace farlo bene». Oggi di anni ne ha 73 ed è, tra l’altro, opinionista alla «Domenica Sportiva». Anche questo lavoro le «piace farlo bene»?

«Ci provo. La DS è una trasmissione ecumenica. Io cerco di dissacrare un po’ quel mondo del calcio abituato a prendersi troppo sul serio».

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