Cassata la Cassazione. E, come previsto perché prevedibile, ancora una volta l’Italia è il regno dei codicilli e degli azzeccagarbugli. Mai che quando c’è di mezzo una norma, ci sia un’interpretazione univoca che metta i cittadini nella condizione di sapere esattamente cosa li aspetta. E questa volta, per rimettere in discussione la pronuncia della suprema corte che prometteva una parola conclusiva sulla possibilità o meno di fare il saluto romano, è bastata appena una settimana. Con la Polizia che ha identificato e denunciato altri quattordici per il braccio teso alla manifestazione commemorativa del 7 gennaio. L’ormai famoso «Presente» davanti alla sede del Msi in via Acca Larenzia. «I predetti
– si legge – sono stati segnalati all’Autorità giudiziaria dalla Digos della Questura di Roma all’esito di articolati approfondimenti investigativi, esperiti mediante l’analisi della massiva mole di immagini realizzata dalla Polizia scientifica».
Non solo. «Proseguono le indagini per risalire all’identità di ulteriori soggetti resisi responsabili del gesto. A oggi sono 19 gli indagati dalla Polizia». Ma come? Ma la Cassazione non aveva sentenziato che «Presente» e saluto romano non sono reato quando rappresentano un «atto commemorativo»? E quale atto più commemorativo che ricordare i giovanissimi caduti del Fronte della Gioventù Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni morti innocenti? Non si era detto che per configurare un reato sarebbe stato necessario dimostrare
la volontà di ricostituire il Partito fascista? Fattispecie certo non applicabile all’episodio di Acca Larentia che si ripete da 45 anni nei quali nessun Partito fascista è rinato. Ma, come prevedibile, sottilizzare e non demarcare nettamente il lecito dall’illecito, avrebbe lasciato nuovamente spazio alla discrezionalità. E, quando si tratta di manifestazioni di destra, si sa bene da che parte vanno le interpretazioni.