Max Sirena conosce bene il tennis praticato da giovane e anche lui è un tifoso di Sinner. Ha vissuto come Jannik la sensazione che si prova quando il pubblico all’improvviso scopre che sta succedendo qualcosa di importante. Con Luna Rossa è successo nella prima sfida del 2000, una esplosione di tifo. Un fenomeno come anni prima accaduto per Alberto Tomba e lo sci. Nel 2000 Luna Rossa, che i neozelandesi avevano battezzato Silver Bullet, aveva tenuto accesi i televisori di tutta Italia: la differenza di orario costringeva il pubblico ad alzarsi all’alba o non andare mai a dormire. In questi giorni Max sirena è a Cagliari per la preparazione di Luna Rossa, giunta alla settima sfida dopo quella edizione straordinaria di Auckland. E anche lui è incollato al video per Sinner.
Max, che impressione le fanno le prestazioni di Sinner, le ricordano il passato?
«Si, il pubblico si sveglia quando arrivano i risultati, è un po’ il metodo italiano e mi dispiace che di queste cose si colga solo l’aspetto più superficiale e non ci si sforzi di capire che cosa stia dietro. Quanta fatica e quanto costi diventare campioni. Sinner ha faticato tanto, la famiglia con lui aiutandolo. Nella nostra società il messaggio che passa è invece che si possono ottenere risultati senza lavoro, talento, carattere, preparazione. Qualcuno si sente un predestinato senza esserlo. Crede di esser nato Maradona o Sinner. Ma di questi ne nascono pochi».
Sono opinioni abbastanza dure.
«La gente non capisce che lo sport è rimasto una delle poche cose dove il merito paga. Io ho visto tutti i fan di Luna Rossa seguirci quando abbiamo vinto e massacrarci quando abbiamo perso ma nello sport si perde quasi sempre e la vittoria è un risultato che arriva dopo una grande applicazione. Sinner andrebbe studiato a scuola, come lui ne nasce uno ogni cento anni».
Dalla sua prima esperienza nel 2000 che cosa è cambiato nella preparazione?
«In quella prima Coppa ci allenavamo alla vecchia maniera: tante ore tutti insieme, adesso bisogna adattare l’ambiente alla persona. Certo in un team 130 persone come quello di Luna Rossa è piuttosto difficile, ma quando gli atleti sono soli è chiaro anche che qualcosa può essere diverso. Se li guardo in campo, Djokovic è sempre in conflitto con i suoi coach, mentre Sinner all’opposto cerca sempre un supporto visivo, un contatto con i suoi allenatori e una delle sue abilità è stata proprio di sapersi circondare delle persone giuste che lo conoscono bene».
Quale pensa sia la dote migliore di Sinner?
«La concentrazione che riesce ad adattare ad ogni momento della partita. Non è sempre al 100% ma lui trova la forza di esprimersi e capire. Il tennis è uno sport puro e anche duro dal punto di vista mentale. E lui è un interprete meraviglioso di tutto quel che serve».