Il destino dell’alta moda è stupire l’impossibile

Il destino dell'alta moda è stupire l'impossibile

«Me ne vado, non ci sono più donne» disse Cristobal Balenciaga nel 1967 quando decise di chiudere i suoi atelier licenziando decine di sarte e prèmiere che puntualmente gli fecero causa. Alla fine vinse lui come racconta la bellissima serie in onda su Disney Channel, ma il mondo perse quello che secondo Coco Chanel era «l’unico vero couturier mentre gli altri sono solo stilisti». Oggi si torna a parlare della siderale distanza tra alta moda e prêt à porter ottenendo risultati diversi ma sempre nel senso della modernità. «La couture è il territorio dell’impossibile e della cura, oggi il suo valore sta nel tempo delle persone che lavorano in atelier per trasformare un oggetto in qualcosa di unico» dice Pierpaolo Piccioli poco prima di far sfilare la sensazionale collezione Valentino per la prossima primavera estate. Lo show si svolge nei saloni dello storico marchio italiano in Place Vendome, proprio dove Monsieur Garavani riceveva le clienti che per qualsiasi motivo non potevano recarsi nell’atelier di Roma dove i capi vengono da sempre tagliati, cuciti e ricamati a mano. Le modelle scendono di corsa dalle scale in un turbine di gonne con l’orlo a bouilloner (cioè ripiegato a bolla su se stesso) sotto un classico blazer da uomo oppure con una teoria di pazzesche pieghe a imbuto ottenute non si sa come nello stesso cotone ignifugo prodotto per le divise dei pompieri. C’è un cappotto in crêpe tecnico turchese fatto da due perfetti cerchi che danzano fluidi attorno al corpo magistralmente vestito con pantaloni rossi e top in chiffon verde pallido. Per un attimo pensi che la notizia stia nell’affascinante anarchia cromatica di cui dà sempre più spesso prova Piccioli, ma poi scopri che quel paltò è costato 610 ore di duro lavoro a mano e che ce ne sono volute 1000 per rendere apparentemente semplice un complicatissimo vestito bustier a portafoglio in seta rosa cipria. Non mancano le piume di paillettes su un pullover pazzesco, il mantello fatto con nastri di PVC riciclato oro e argento tagliate e arricciate a mano fino a sembrare una pelliccia di luce e un cappotto da uomo con le scaglie del coccodrillo sagomate nella plastica verde e poi cucite una per una fino a ricostruire sulla stoffa il motivo animalier. «In atelier abbiamo una scuola in cui ogni anno ammettiamo 6 o 7 giovani da affiancare a chi sta per andare in pensione» racconta Piccioli spiegando che per lui mantenere questo sapere artigianale è un dovere morale. Tutt’altro mondo ma un gran bel mondo in cui la creatività scorre a fiumi alla sfilata di Maison Margiela. Lo show si svolge sotto il ponte Alessandro III in cui John Galliano ricostruisce l’atmosfera fumosa e peccaminosa della Parigi notturna fotografata da Brassai nella Belle Epoque. Uomini e donne simulano la vestizione di corpi modificati da busti e protesi d’ogni tipo sotto visi che ricordano le bambole di porcellana. Le donne sono tutte pettinate come la Goulue di Touluse-Lautrec e nei veli dipinti che indossano ci sono citazioni ai dipinti di Van Dongen, ma tutto il resto è una potente riflessione sul senso dell’alta moda oggi: l’ultimo sistema non chirurgico per trasformare l’aspetto fisico delle persone.

Da Fendi Kim Jones fa un onesto compitino sulle decorazioni che diventano strutture mentre queste ultime hanno la funzione di decorare. In quest’ottica l’alta gioielleria di Boucheron fa molto di più trasformando le onorificenze di un’alta uniforme del principe Filippo negli incredibili gioielli di una regina del terzo millennio. Qui e da Cartier si rivedono le tiare trasformabili poi in chocker, collier, braccialetti e preziosissime fibbie da cintura. Anche da Damiani la haute joaillerie parla il linguaggio del trasformismo e il collier Emozioni con 4 fili di diamanti ha un pendente staccabile con un’acqua marina da 27 carati.

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