Una nuova testimonianza getta ulteriori ombre sulla figura di don Marko Rupnik, teologo ed artista sloveno famoso in tutto il mondo per i suoi mosaici e cacciato nella scorsa estate dalla Compagnia di Gesù dopo che i superiori hanno ritenuto il grado di credibilità delle accuse di abusi mosse contro di lui “molto alto”. Nonostante ciò, ad ottobre la diocesi di Capodistria ha accettato di incardinare l’ex gesuita. Le polemiche conseguite a questa decisione hanno portato il Papa, su pressione della pontificia commissione per la tutela dei minori, a concedere la deroga alla prescrizione per permettere un processo del dicastero per la dottrina della fede sui casi di abusi contestati a Rupnik ai tempi della sua permanenza nella Comunità Loyola, negli anni Novanta.
“Arrogante e narcisista, mi ruppe il dito”
Proprio un’ex suora della Comunità Loyola, fondata a Lubiana alla fine degli anni Ottanta da suor Ivanka Hosta e che un mese fa è stata chiusa dal dicastero per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica per “gravi problemi riguardanti l’esercizio dell’autorità e della convivenza comunitaria”, ha puntato l’indice sul comportamento di Rupnik ai tempi in cui faceva da direttore spirituale della comunità di ispirazione ignaziana. Alla giornalista Federica Tourn del quotidiano Domani la donna ha raccontato: “Una volta, seduti a tavola uno di fronte all’altra, Rupnik mi disse: ‘ora vediamo chi è più forte!’. Mi afferrò le mani sul tavolo e, palmo su palmo, cominciò a premere con grande forza. Io gridavo che mi faceva male, ma lui non smise“. Alla fine, l’allora gesuita avrebbe fatto una pressione tale sulla mano della novizia al punto da romperle un indice. Continua la presunta vittima: “Rupnik non si scusò. Rimase calmo e disse: ‘ora hai il sigillo permanente della Compagnia di Gesù’. E aggiunse: ‘L’ho fatto per amore‘.
I fatti risalirebbero ai primi anni Novanta, quando l’artista sloveno avrebbe svolto anche l’incarico di confessore di tutte le novizie, provocando il terrore dell’allora novizia che a Tourn ha raccontato: “Rupnik era estremamente arrogante e narcisista (…)io non volevo che fosse il mio confessore, ma non avevamo libertà di scelta. Una volta, durante la confessione, chiuse a chiave la stanza del Centro Aletti in cui eravamo e si mise la chiave in tasca”. Il Centro Aletti è la creatura che Rupnik ha fondato a Roma nel 1991 e dove si trasferì portando con sé tre sorelle della Comunità Loyola. Questo luogo è stato al centro di altre testimonianze di presunte vittime: a fine 2022 un’altra ex suora aveva raccontato sempre a Tourn che l’artista le avrebbe chiesto di fare sesso a tre con un’altra religiosa della Comunità nella sua stanza romana sostenendo che “la sessualità doveva essere secondo lui libera dal possesso, ad immagine della Trinità”. Questa ex religiosa ha riferito, inoltre, di “una masturbazione molto violenta” e di essere stata condotta due volte, sempre da Rupnik, in alcuni cinema porno della periferia della Capitale.
Il mistero della scomunica
Nonostante le diverse testimonianze di donne che hanno denunciato di essere state vittime di abusi psicologici ed anche sessuali da parte dell’ex gesuita, il Centro Aletti non ha preso le distanze dal suo fondatore e in un comunicato del 17 giugno 2023, pochi giorni dopo la notizia della dismissione dalla Compagnia di Gesù, ha contestato l’operato dei gesuiti ed ha bollato lo scandalo emerso come parte di una “campagna mediatica basata su accuse diffamanti e non provate”. Il comunicato porta la firma di Maria Campatelli, direttrice del Centro, poi ricevuta in udienza da Francesco, solamente tre mesi dopo quella difesa. Tre giorni dopo quell’incontro in Vaticano, il vicariato di Roma ha chiuso la visita canonica condotta nel Centro a seguito delle rivelazioni su Rupnik rese pubbliche per primi dai siti Messainlatino.it e Silere non possum. In una nota dal contenuto piuttosto inusuale, il Vicariato non solo ha elogiato l’associazione nella quale sarebbe “presente una vita comunitaria sana e priva di particolari criticità” ma si è spinto persino a mettere in discussione il lavoro della congregazione per la dottrina della fede che nel maggio 2020 aveva scomunicato Rupnik per l’assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento. Una scomunica durata poco e su cui aleggia il mistero legato alla responsabilità della sua revoca.
Un prete potente
Rupnik, d’altra parte, non è un prete qualunque. La sua è una delle figure più conosciute della Chiesa contemporanea, non solo per i suoi mosaici realizzati in tutto il mondo. Nella Quaresima del 2020, poco prima che venisse scomunicato e quindi mentre era già in corso il processo su di lui all’ex Sant’Uffizio, il teologo sloveno fu chiamato a tenere gli esercizi spirituali alla Curia romana. Nel 2016 concelebrò con papa Francesco la messa nella cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico in Vaticano per il 25 esimo anniversario del Centro Aletti che fu inaugurato dal predecessore Giovanni Paolo II come ponte con l’ortodossia orientale attraverso l’arte. La Santa Sede, proprio in virtù della posizione preminente e dei contatti ad alto livello che l’ex gesuita sloveno ha avuto in questi anni all’interno delle gerarchie ecclesiastiche, non può permettersi ulteriori vaghezze nella gestione del caso. L’occasione per dimostrare che l’atteggiamento della Chiesa sul dossier abusi, al di là dei proclami, è cambiato definitivamente può arrivare dalla trasparenza che si vedrà nel processo a Rupnik permesso dalla deroga alla prescrizione. Ma dopo l’annuncio dello scorso ottobre, nulla si sa dell’esame del caso che spetta al dicastero per la dottrina della fede.