Zuncheddu e la vita persa. “Mi hanno rubato tutto”

Zuncheddu e la vita persa. "Mi hanno rubato tutto"

L’altro ieri è finito un incubo? «Sì, questo è il primo giorno da uomo libero dopo 33 anni di carcere. Non mi sembra ancora vero. Il carcere è sempre duro, soprattutto per chi è innocente. Se andrò a trovare quelli che mi condannarono? No, anche perché la maggior parte di loro è in cielo. O forse all’inferno…».

Beniamino Zuncheddu, da 48 ore libero dopo quasi 33 anni di carcere ingiusto per non aver commesso gli omicidi nella strage di Sinnai, risponde timidamente alle domande dei giornalisti nella sede del partito Radicale a Roma. Non ha nulla dell’uomo felice, sul volto un’espressione malinconica, rassegnata, ancora incredula. E racconta il suo calvario. «In questi 33 anni mi è mancato tutto, il mondo è andato avanti per conto suo, senza di me. Non riesco a spiegare, adesso, che cosa è stata questa prigionia a cui mi hanno costretto senza che avessi fatto nulla. Non sono un eroe ma un sopravvissuto. E ora ho bisogno di riposo, riposo mentale, per capire. Lo troverò a casa di mia sorella Augusta».

A Burcei, meno di 2800 anime, l’altro ieri hanno fatto festa appena la notizia della sua assoluzione si è diffusa tra la popolazione. «So che al paese hanno suonato le campane a festa. Voglio abbracciare tutti, ringraziare tutti e vedere se esiste una vita anche per me. Non riesco a immaginarla. Ero giovane, e ora sono vecchio». L’ex pastore sardo ha trascorso più di un quarto di secolo in una cella di massima sicurezza. «Sono stato un uccellino in gabbia, non potevo fare attività fisica, a volte non potevo neppure muovermi. Mi dicevano continuamente: ravvediti, confessa, ed esci, ma io non mi dovevo ravvedere di nulla, non avevo fatto nulla». La sua vita è stata spezzata a 27 anni e oggi Beniamino, 59 anni, sembra disarmato dinnanzi al futuro. «Mi hanno tolto tutto – dice – la possibilità di farmi una famiglia, di lavorare. Non so di possibili risarcimenti nel futuro, ormai quello che mi potevano rubare me l’hanno rubato».

Le sue parole toccano il cuore e l’errore giudiziario più lungo della storia diventa un caso politico. A cominciare dal nodo risarcimento. Quanto dovrà pagare lo Stato a un uomo, che, come ha detto Irene Testa, Garante regionale della Sardegna e tesoriera del Partito Radicale, «è stata rubata la vita?».

E quando arriveranno i soldi che lo indennizzano? «Non si può aspettare» chiede Testa, perché «Beniamino ha già atteso troppo». Ma un errore giudiziario così grossolano mette a nudo le pecche di un sistema malato. «La magistratura che lo ha assolto dov’era 33 anni fa? si domandano i Radicali Nell’apertura dell’anno giudiziario sarebbe bello che qualcuno chiedesse scusa». Invece c’è solo un assordante silenzio dei vertici della magistratura. Le voci sono solo politiche. Raffaella Paita di Iv invoca l’urgenza per la riforma «per i tanti, troppi Beniamino che chiedono giustizia, quella vera». Maurizio Lupi, di Noi Moderati, avverte l’opposizione: «Questo caso sia di monito per tutti, per mettere da parte le posizioni strumentali e corporative e fare una riforma della giustizia che il Paese non può più attendere». E Debora Serracchiani del Pd ammette che i 33 anni di carcere subiti ingiustamente sono «un monito potentissimo su quanto il sistema giustizia incida su ogni cittadino».

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