Sul sesso in carcere, la consulta si dimostra più avanti del giudici

Sul sesso in carcere, la consulta si dimostra più avanti del giudici

I veri problemi cominciano adesso. La decisione con cui ieri la Corte Costituzionale, dopo una riflessione durata quasi due mesi, ha aperto ai detenuti italiani il diritto a fare sesso in carcere, nasce da una analisi lucida del senso della pena nella società moderna, e delle afflizioni che è giusto infliggere oltre alla privazione della libertà; ma va a sbattere contro una realtà, quella degli istituti di pena italiani, dove prima che si trovino gli spazi, i soldi, la volontà per realizzare le «stanze dell’amore» passeranno anni. Peggio: in alcuni istituti, i più avanzati e moderni, le stanze arriveranno; in molti altri resteranno un miraggio, come lo studio, il lavoro, i percorsi riabilitativi. Anche in questo il sistema-carcere in Italia continuerà a essere un sistema a due velocità: poche prigioni dal volto umano, tante bolge per dannati.

Ciò premesso, la sentenza è una sentenza di civiltà. Non fosse altro perchè le carceri italiane sono piene anche di innocenti, migliaia di uomini in attesa di giudizio e che nei processi verranno assolti: e che sono addirittura trattati peggio dei condannati in quanto – lo ricorda ieri la Corte – vengono esclusi dai permessi premio, piccole finestre in cui i condannati definitivi possono tornare ad abbracciare la propria compagna senza lo sguardo degli agenti addosso. Ma anche per questi ultimi, per i colpevoli riconosciuti, è impensabile affidare solo ai permessi, cioè a un premio cui la maggioranza non può accedere, ciò che invece è un diritto: non solo del detenuto ma anche del suo partner. Legami affettivi, sessualità compresa, possono tenere in vita un rapporto, e ridurre il rischio che, a pena espiata, il carcere restituisca alla società un drop out, un disadattato.

La Corte Costituzionale ieri si dimostra più accorta del giudice che l’aveva investita della questione. Gli «incontri ravvicinati» potranno essere rifiutati non solo per «motivi di sicurezza», a partire dai rigori del 41 bis, ma anche per «ragioni di ordine pubblico» e esigenze giudiziarie. Il principio però è sancito. E state tranquilli: neanche così un carcere sarà mai un hotel a cinque stelle.

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