L’antisemitismo è rinato. Solo chi difende Israele può dire davvero “Ora mai più la Shoah”

L'antisemitismo è rinato. Solo chi difende Israele può dire davvero "Ora mai più la Shoah"

Mai Giorno della Memoria è stato più triste e difficile da celebrare. La memoria della Shoah non può essere una formula di circostanza. Se lo diventa, l’antisemitismo che ha portato a sei milioni di morti resta oltre un invalicabile vetro opaco: solo con la conoscenza, la sincerità, la chiarezza morale per non ripetere gli errori del passato essa ha un significato. Ma il 7 ottobre ha rivelato una verità che stupisce: in Francia l’antisemitismo si è moltiplicato da quando abbiamo visto le immagini dei bambini dei kibbutz bruciati, le madri uccise davanti ai figli, ragazze e ragazzi violentati e smembrati. Non solo il popolo ebraico ha dovuto subire un’aggressione a famiglie innocenti che è costata il numero più alto di uccisi in un giorno dal tempo della Shoah, compiuta con intenti genocidi come testimonia il grido «Yehud, Yehud», («ebreo, ebreo»), degli zombie di Hamas in caccia; ma subito dopo si è sollevata un’ondata di menzogne costruite sull’ignoranza e la diffamazione, una raffica di antisemitismo da restare allibiti, anche quando, come nel mio caso, si scrive da anni sul nuovo antisemitismo che ha al centro lo Stato d’Israele. L’apice, ironico se non fosse tragico, è rappresentato dall’accusa di genocidio presentata all’Alta Corte di Giustizia dell’Aja dal Sudafrica: non contro Hamas, che ne ha perpetrato uno palese, filmato con orgoglio, ma contro Israele, in un’azione concertata coi terroristi stessi e i loro sostenitori internazionali.

Il secolo scorso ha conosciuto immense stragi dovute alla vittoria di ideologie politiche assassine: sull’altare di nazismo, stalinismo e islamismo estremo, abbiamo visto milioni di persone perseguitate, deportate, uccise barbaramente. Col disegno genocida di uccidere il popolo ebraico, sempre, ogni volta, si è progettato di distruggere la democrazia e i valori giudaico-cristiani della liberaldemocrazia. Quindi non solo gli ebrei devono temere l’antisemitismo, ma tutto il mondo.

La forza dell’antisemitismo è formidabile, ci vorrebbe un’azione educativa, politica, istituzionale che purtroppo manca. Al contrario, l’incitamento populista contro Israele si è avvalso di una costruzione molto complessa, un background storico di diffamazione costruita fin dai primi anni dello Stato ebraico, che ha fatto perno sulla pigrizia culturale, l’esaltazione politica delle folle nei campus e nelle periferie, la faciloneria woke degli intellettuali, le ong dei diritti umani che scelgono sempre e comunque la strada antiamericana e pro terzo mondo. Fondamentali sono state anche le grandi istituzioni come l’Onu, ma anche purtroppo l’Ue, accecate dalla soggezione culturale ed economica verso il mondo arabo e verso la minaccia islamista nelle città europee.

Dopo le atrocità del 7 ottobre si è potuto osservare l’inimmaginabile, ovvero come un grande pogrom di ebrei con tanto di stupri e decapitazioni programmate, sia non solo tollerato ma esaltato dall’opinione pubblica internazionale; non preoccupa nessuno che chi ha progettato queste violenze adesso partecipi a trattative diplomatiche al Cairo, a Doha e persino in Europa. Anzi: la loro richiesta di tempo, che è una palese domanda di restare al potere per riorganizzare altri eccidi, viene sostenuta da folle che aggrediscono Israele e chiedono un cessate il fuoco per i nazisti.

Come ha scritto il grande storico dell’antisemitismo Robert Wistrich, dopo l’antisemitismo religioso e quello razziale si è generata un’ossessione omicida sopravvissuta al nazismo, che dall’Urss è passata al mondo islamico in un movimento di cui il mufti Haj Amin Al Husseini è il fondatore e che ha il suo degno rappresentante in Hamas come in tutta la Fratellanza Musulmana, sostenuta dall’Iran. Recentemente, questo morbo ha contagiato anche la cultura woke, che manicheisticamente contrappone i poveri oppressi, neri o arabi, ai ricchi colonizzatori, bianchi e razzisti. Israele non è niente di tutto questo, ma Hamas ha inaugurato una guerra per fare della Palestina il primo nocciolo di un Medio Oriente judenfrei, libero dal sionismo e dagli ebrei.

La distruzione di Israele è il nuovo antisemitismo, ma non da oggi. Nel 1975 la risoluzione Onu «sionismo uguale razzismo»; nel 2002 la conferenza razzista dell’Onu a Durban contro Israele; nel 2016 la risoluzione del Consiglio di Sicurezza in cui Obama decide che gli Usa avallano una condanna per i territori occupati. Ciò si accompagna all’oblio degli accordi di Oslo con cui Israele ha sgomberato quasi tutti i Territori e aspetta solo un accordo per «due Stati, due popoli», mentre i palestinesi rispondono no tutte le volte, a colpi di Intifada e quasi 2mila morti seminati sugli autobus che esplodono. Israele insiste con la proposta di pace, sgombera Gaza nel 2005, ma gli ebrei seguitano ad essere l’obiettivo da eliminare «from the river to the sea», dal fiume al mare, uno slogan vuoti urlato per strada fino ad Harvard, dove ci si è convinti che uccidere gli ebrei sia un reato solo di quando in quando. La memoria che promette di abbandonare il male compiuto altro non è che una chiara analisi del presente, il coraggio della verità costi quel che costi. «Never again» sono parole che si sbriciolano davanti alle menzogne della religione dei diritti umani a senso unico.

Gina Semetrich aveva 91 anni, era in origine cecoslovacca, da sopravvissuta dell’Olocausto aveva ricostruito una vita e una famiglia a Kissufim, un kibbutz sul bordo di Gaza. Trascinata, picchiata, uccisa dai terroristi di Hamas, ha rivisto la Shoah e ne è morta. Sara Jackson, 88 anni, sopravvissuta all’Olocausto, si è barricata in casa al kibbutz Sa’ad dopo aver accolto tre ragazzi che erano riusciti a scappare dalla festa di Nova, dove 360 sono stati massacrati: come durante un pogrom in Polonia, hanno appoggiato alla porta un grosso armadio, come facevano i genitori di Sara quando era piccola. Avigdor Neuman, 93 anni, mostra il numero azzurro tatuato sul braccio ai tre ragazzi rapiti, che sentono come la menzogna stia calando anche sulla strage del 7 ottobre: «Ci sono cose che non si possono cancellare».

Questo è accaduto, la caccia agli ebrei ha compiuto orrori noti solo ai nazisti. Adesso per conquistarsi il diritto a dire «never again», prima di tutto bisogna che con coraggio si cerchi di capire cosa sta succedendo, perché Israele è obbligata a concludere questa guerra sgomberando dal suo confine e dal mondo intero la minaccia di questa nuova Isis che vede, proprio come l’Iran, la distruzione di Israele come una prima tappa di sovranità e conquista. Questo è il «never again» oggi: vincere una guerra sul terreno più difficile del mondo, dove ogni metro di terra nasconde una galleria da cui può spuntare un gruppo di terroristi, ogni struttura civile, case, ospedali, scuole, nasconde un lanciamissili, una santabarbara preparata per la guerra, e ogni cittadino è o il custode o lo scudo umano che protegge la guerra di Hamas. Guerra atroce, triste, in cui piangiamo anche i palestinesi vittime della ferocia di Hamas, unico responsabile della loro fine. «Never again» è prima di tutto avere il coraggio di capire che Israele è la nuova trincea della libertà e della vita. Per tutti.

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