L’agenzia spaziale ha dato il via libera alla missione Lisa (Laser Interferometer Space Antenna): nel 2035 verranno inviati tre satelliti attorno al Sole a formare un osservatorio in grado di rivelare le onde gravitazionali. Sarà una finestra spalancata sull’Universo. Ne sono convinti gli astrofisici impegnati in questa missione dagli anni ’70, uno studio multicentrico che coinvolge da allora decine di atenei compresa la nostra Bicocca che ha un ruolo centrale. In particolare, il team di Monica Colpi del dipartimento di Fisica «Giuseppe Occhialini» ha guidato diversi gruppi di ricerca, sia all’agenzia spaziale Esa che nella missione Lisa. Perchè indagare le onde gravitazionali? «Perchè può accrescere la nostra conoscenza dell’universo – ha spiegato il ricercatore della Bicocca Riccardo Buscicchio che esaminerà i dati di Lisa – Da come si formano le galassie e come sono nati i buchi neri, dalle origini della nostra galassia alla via Lattea. Poi potremo verificare altre informazioni che già abbiamo, confermandole e arricchendole. Sappiamo che l’universo è in espansione, sicuramente continuerà a farlo ma potremmo verificare questa espansione verificando la legge con più precisione». Le onde gravitazionali però non sono paragonabili a quelle del mare, «grazie ad Einstein sappiamo che sono simili a increspature che scuotono il tessuto dello spazio-tempo: quando lo spazio si dilata il tempo si restringe e viceversa, uno non cambia senza l’altro. Queste onde-increspature viaggiano alla velocità della luce e hanno un suono». I satelliti faranno udire i suoni che saranno tutti diversi perchè le onde emesse dalle stelle risuonano diversamente da quelle provocate dai buchi neri o dalle nane bianche che sono le stelle morenti. «Ma c’è dell’altro. Finora abbiamo udito questa musica grazie ai rilevatori terrestri (ce n’è uno a Pisa). Gli strumenti a terra colgono un segnale alla volta che non è puro ma è mescolato ai rumori terrestri, provocati da terremoti, scosse, assestamenti, vibrazioni. L’onda gravitazionale ha un timbro particolare, potremmo paragonarla a un violino solista. Quando ascolteremo i suoni dallo spazio – dove non ci saranno rumori di sottofondo – ci accorgeremo di una vera orchestra, a volume estremamente alto, composta da milioni di archi, legni, ottoni e percussioni. E il mio compito, di raccolta dati e formulazione di algoritmi, è quello di riscrivere le partiture del concerto, a partire da una singola registrazione in alta-fedeltà, estraendo più strumenti possibile, anche quelli di cui ancora non conosciamo l’esistenza». Tutto questo è possibile grazie agli studi di astrofisica predittiva che in un certo senso anticipano quello che i satelliti scopriranno.