I disegni dello “sciamano” Bobi Bazlen ci portano nel mondo dei suoi sogni

I disegni dello "sciamano" Bobi Bazlen ci portano nel mondo dei suoi sogni

Da Roma – Si può disegnare per hobby, passione, necessità. O inconsciamente. Quello che a un certo punto, in qualche modo, cominciò a fare Bobi Bazlen (1902-65), rabdomante dei libri, mago editoriale e sciamano letterario, consigliori di tanti editori, fondatore nel 1962 con Luciano Foà dell’Adelphi: fu un lettore titanico – in tedesco, sua prima lingua, e italiano, inglese, francese curioso di tutto, a partire da mappe astrologiche e oroscopi, e scrittore misuratissimo, forse troppo. Le poche pagine che ci restano di lui ci fanno rimpiangere ancora di più ciò che ci siamo persi. Però, almeno, sono sopravvissuti i suoi disegni. Che sono solo un altro modo di narrare storie. Bazlen nato a Trieste all’inizio del ‘900, rintanatosi per la maggior parte della vita in due stanzette a Roma, morto in un alberghetto a Milano a metà dei ’60 e sepolto nel cimitero di Pré-Saint-Didier accanto all’amico Luciano Foà – li realizzò fra il 1944 e il 1950 su ordine del suo psicanalista, il junghiano Ernst Bernhard, tedesco trapiantato in Italia. Tecnicamente sono «il diario visivo della sua terapia analitica basata sulla pratica dell’immaginazione attiva»: Bazlen doveva esprimere su carta le immagini dei sogni e delle fantasie come chiave di lettura dell’inconscio.

Ed eccole qui, fra arte e inconscio, le visioni di Bobi Bazlen. Un gruppo di cento disegni e schizzi, tutti di piccolo formato, a matita, china e acquerello, sono il nucleo della mostra Bobi Bazlen. I disegni dell’analisi a Palazzo Esposizioni a Roma. Curata da Anna Foà e Marco Sodano delle edizioni Acquario (che hanno pubblicato il libro illustrato Bazleniana), allestita in un luogo perfetto – la piccola sala ottagonale sotterranea della Fontana – è stata inaugurata a novembre e, dopo una proroga, chiuderà purtroppo a breve: il 28 gennaio. Una mostra la cui brevità della visita è inversamente proporzionale alla permanenza del ricordo che ci lascerà. I (di)segni lasciati da Bazlen sui fogli rimandano al suo stesso universo mentale, letterario, culturale: sono la raffigurazione fra inconscio inquieto e ricordi indotti dei miti, gli archetipi e i racconti frequentati dal lettore insonne: il viandante, il pescatore, la croce, la coppia (il doppio, i gemelli, i fratelli, adelphi), la luna nuova, il diavolo, i teatranti, l’isola, la morte, la rinascita, l’arciere, la spada, la piramide, il porto… In qualche modo è la stessa immaginazione attiva che riempie il Libro rosso di Carl Gustav Jung.

Misteri dentro un labirinto di forme e idee. I disegni, dietro cui è appuntata la data del sogno e il momento in cui fu fissato su carta, alla morte di Bazlen andarono a Ljuba Blumenthal, un’ebrea romena sposata con Julius Flisch, da lui conosciuta nel 1929, la quale poi li lasciò a Luciano Foà in un baule assieme a lettere, fotografie, agende e appunti vari. Si dice che associato ai disegni esistesse anche un diario dell’analisi, su cui aleggia una leggenda: inseguito e citato, è svanito nel nulla. Il che fa pensare a un sogno.

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