Verso gauche sono soliti firmare petizioni – cioè: pietire attenzione. In Francia, però – rispetto all’Italia, dove alla lettera di protesta e al proclama politico segue lo stallo, la messa all’incanto delle pie volontà, la spartizione delle cariche – una petizione può stroncarti la carriera. Nel 2012 Annie Ernaux, scrittrice inghirlandata con il Nobel – una letteraria truffa: meglio Colette, Marguerite Duras, per non dire di Marguerite Yourcenar – capitanò dalla tribuna di Le Monde una rivolta di intellettuali contro Richard Millet, reo di aver scritto un «pamphlet fascista che disonora la letteratura». Allontanato da Gallimard, dove lavorava come consulente, Millet, autore di libri ben più belli di quelli di Madame Ernaux – La confession négative, L’Orient désert, ovviamente intradotti in Italia – vive, da allora, come un paria. Per la cronaca, il saggio incriminato, Elogio letterario di Anders Breivik, è pubblicato in Italia da Liberilibri, che sta per pubblicare un altro libro del francese, L’antirazzismo come terrore letterario.
In questo caso, la petizione pare un peto; il chiasso politico che ne è seguito un refolo grottesco, pantagruelico. Ecco i fatti. Sylvain Tesson è stato nominato padrino della manifestazione letteraria «Le Printemps des poètes», una sorta di immane archivio della poesia francese contemporanea: la manifestazione si svolge quest’anno dal 9 al 25 marzo, il tema è «La Grazia». Dal 2009 la manifestazione ha un padrino; più spesso è una madrina, spesso un’attrice, spesso avvenente. Sylvain Tesson è uno dei più importanti scrittori francesi di oggi, specializzato nella narrativa di viaggio. In Italia i suoi libri sono pubblicati, prevalentemente, da Sellerio, non proprio un editore di fronda: il più bello è Nelle foreste siberiane (2011); con La pantera delle nevi (uscito per Gallimard nel 2019), Tesson ha ottenuto il Prix Renaudot, andato prima di lui al suo idolo, Louis-Ferdinand Céline e, tra gli altri, a Louis Aragon, a Georges Perec, alla fatidica Ernaux. Dal libro è stato tratto nel 2021 un documentario. A proposito di poesia: Tesson ha scritto un libro sui viaggi – a piedi – di Rimbaud; in Italia lo ha pubblicato Rizzoli, l’anno scorso, s’intitola, appunto, In viaggio con Rimbaud.
Ora. Dal pulpito di Libération, il quotidiano fondato da Sartre, alcova della sinistra francese, 1200 tra poeti, librai, insegnanti, intellettuali, hanno significato il loro sdegno contro un’«icona reazionaria», «figura di spicco dell’estrema destra letteraria». I capibranco di questa rivolta sono Chloé Delaume e Baptiste Beaulieu, scrittori dal difforme successo. Il Ministro della cultura Rachida Dati ha dato il suo sostegno a Tesson il quale, come norma, si fa gli affari suoi.
Figlio di un noto giornalista – Philippe Tesson, morto l’anno scorso – e di un medico di fama, Marie-Claude Millet, Sylvain Tesson non è un agitatore politico. Più che i suoi libri, è il suo pensiero a dare fastidio. Odia la centralizzazione statalista in vece delle autonomie territoriali, odia l’industrializzazione che ha fatto razzia della campagna, il turismo che ha annientato l’audacia del viaggio, la vita virtuale che ha sostituito la vita vera, l’avventura. «Fuggo dall’obbligo di dovermi sottomettere ai dettami del nuovo ordine, della nuova società. Fuggo dal diktat della macchina, dell’amministrazione, di tutto ciò che ci imprigiona», ha scritto. Tesson preferisce gli eroi ai politici, il bel gesto alle buone azioni, l’eccentrico e l’eccezionale al consueto, la singolarità del genio alle manifestazioni di massa. È affascinato da Lawrence d’Arabia, come uno dei suoi lari letterari, André Malraux. «Non ho mai indossato lo smoking, adoro le pistole, i coltelli. Alle aziende preferisco le fratellanze, alle istituzioni una bevuta tra amici», ha detto.
Proprio nei giorni in cui è scoppiata questa iniqua polemica, Éditions des Équateurs ha pubblicato l’ultimo libro di Tesson, Avec le Fées, resoconto di un viaggio lungo le coste colonizzate, secoli fa, dai Celti, dalla Galizia alla Cornovaglia, tra Irlanda, Bretagna e Scozia. Alla parola fate – fées – Tesson assegna il fatale significato di una disposizione dell’animo. Scrive: «Nessuna fanciulla-libellula svolazza con il tutù intorno alle fontane. È un peccato: gli occhi dell’uomo moderno non sanno più catturare la fantasmagoria… La parola fata è un modo di cogliere il mondo scoprendo in esso il miracolo dell’immemorabile e del perfetto. Il riflesso del sole sul mare, il fruscio del vento tra le foglie del faggio, il sangue sulla neve e la rugiada che gocciola sul vello dei mustelidi: eccole, le fate. Appaiono quando miriamo la natura con deferenza. Sorgono all’improvviso, come segni. La bellezza risplende. A questo zampillio do il nome fata».
Tesson tesse reportage che insegnano a fuggire da un mondo brutalizzato dal progresso, che incattivisce l’essere umano e rende futili le antiche virtù del coraggio. La sua ricerca nei luoghi degli antichi Celti non ha nulla di politico, riguarda una poetica dell’esistere. Si sente figlio del XII secolo, «Il secolo delle cattedrali e dei monasteri, della chanson de geste e del cavaliere, figura sublime, capace di assemblare in sé il poeta, l’avventuriero, l’amante. Il periodo in cui paganesimo e cristianesimo si innervano, nelle foreste atlantiche». In una recente intervista a Le Figaro, questa specie di Corto Maltese della letteratura francese ha detto che nel viaggio cerca «interstizi che mi permettano di sfuggire dall’immane accerchiamento dell’industria, della massificazione, dell’accelerazione – della modernità, insomma». Anche nella sua casa, ha trovato lo spiraglio, la lacuna, l’errore nella norma: «dalla mia finestra vedo soltanto il cielo – e la gotica guglia della chiesa di Saint-Séverin». All’ombra del sacro, gettati verso il cielo. Il viaggio, in fondo, è un’appendice del sogno. Meglio andare a caccia di fate con Tesson che intrupparsi tra gli alfieri del bene comune, mere falene.