Gli avevano sequestrato tutti i beni, e una sentenza glieli aveva restituiti. Lo avevano accusato di essere un mafioso, anzi un «concorrente esterno», e avevano chiesto la sua condanna a dodici anni di carcere: e ieri un’altra sentenza dice che non era vero niente, assolto con formula piena, «il fatto non sussiste». Per Mario Ciancio Sanfilippo, editore siciliano, proprietario della Gazzetta del Mezzogiorno e de La Sicilia, la giustizia ha impiegato dieci anni per ammettere di essersi sbagliata. Intanto Ciancio invecchiava – oggi ha quasi novantadue anni – sotto il peso di una accusa infamante. E i suoi giornali, sequestrati dalla Procura e affidati a amministratori giudiziari, andavano incontro a una crisi che ha portato la Gazzetta al fallimento e da cui ora i redattori della Sicilia si augurano di venire risollevati dall’assoluzione dell’editore.
Il primo attacco a Ciancio era venuto nel 2009 da una puntata di Report, qualche mese dopo il Fatto Quotidiano aveva rivelato l’apertura dell’indagine per concorso esterno in associazione mafiosa che vedeva Ciancio accusato di legami col capo catanese di Cosa Nostra, Nitto Santapaola: alla base, le dichiarazioni di pentiti improbabili come Massimo Ciancimino, secondo cui a benedire l’ingresso di Ciancio ne La Sicilia era stato nientemeno che Bernardo Provenzano. In contemporanea su Ciancio e sul suo giornale piovono gli strali del deputato Claudio Fava, che accusa La Sicilia di non usare mai la parola «mafia».
Che le accuse a Ciancio fossero un po’ evanescenti lo dimostra anche il singolare andamento del processo: la Procura dopo tre anni chiede di archiviare tutto e un giudice le dice di no, a quel punto il pm chiede il rinvio a giudizio e un altro giudice lo respinge, la Procura fa ricorso e finalmente ottiene di portare l’editore a processo. Il processo inizia nel 2018 e dura sei anni. Ma nel frattempo la Procura sequestra tutte le sue aziende, il procuratore Carmelo Zuccaro si dice certo «che Mario Ciancio Sanfilippo sin dall’avvio della sua attività, nei primi anni ’70, e fino al 2013 abbia agito, imprenditorialmente, nell’interesse proprio e nell’interesse di Cosa nostra» e che «il predetto sodalizio mafioso si sia rafforzato grazie ai fortunati investimenti realizzati per il tramite del Ciancio». Corte d’appello e Cassazione restituiscono tutti i beni all’editore. Ma ormai il danno è fatto.
Ieri, l’assoluzione. «Accolgo con gioia e soddisfazione – è il commento di Mario Ciancio Sanfilippo – il pronunciamento del Tribunale di Catania, giunto a esito di un lunghissimo e assai faticoso percorso nel corso del quale ho sempre serbato rispetto e fiducia nella giustizia».