Una delegazione degli Houthi yemeniti – le milizie sciite potentemente armate dall’Iran – è stata appena in visita a Mosca. Al termine, è stato emesso un comunicato in cui si parla della necessità di continuare a fare pressione sugli Stati Uniti, colpevoli di sostenere Israele nella sua guerra contro i palestinesi di Gaza (cioè Hamas). La motivazione ufficiale del viaggio a Mosca degli yemeniti, che da settimane sono oggetto di raid aerei americani e britannici ma che ieri hanno colpito con un missile una petroliera britannica nel golfo di Aden, al largo delle coste dello Yemen, provocando un incendio a bordo che però non ha minacciato l’equipaggio, è stata «discutere della guerra a Gaza», ma gli Houthi altro non sono che un ingranaggio dell’Asse russo-cinese-iraniano che dopo il 7 ottobre ha gettato la maschera e conduce contro l’Occidente una guerra non dichiarata ben più ampia. Oggetto della quale è certo Israele, ma anche gli Stati Uniti che si cerca di indebolire in Medio Oriente, e la stessa Europa che paga un alto prezzo in termini economici. Senza dimenticare quell’Ucraina che Vladimir Putin aggredisce da ormai due anni perché ha osato sottrarsi alla sfera d’influenza russa e le aperte minacce di attacco a Taiwan.
Il fatto che gli Houthi siano stati ricevuti a Mosca dovrebbe aprire gli occhi: parliamo dell’organizzazione che da anni ha preso, con il sostegno iraniano, il controllo di buona parte dello Yemen, da dove da due mesi impedisce il libero il transito dei mercantili occidentali nel Mar Rosso, provocando danni colossali alle nostre economie. Sparando missili – è accaduto anche ieri – contro le navi da guerra americane. E (non ultimo) ostacolando anche le forniture all’Europa di quel gas naturale del Qatar che ha rimpiazzato in buona parte, anche in Italia, quello russo che abbiamo smesso di importare dopo il tentativo di ricatto energetico ai nostri danni. C’è di più: gli Houthi non attaccano mai le grandi navi portacontainer cinesi e quelle russe «perché Pechino e Mosca non sostengono Israele». Ecco chi incassa i dividendi commerciali di questa operazione di guerra.
C’è ancora chi, dalle nostre parti, mette la testa sotto la sabbia: definendo «ambiguo» il comunicato emesso a Mosca che è invece chiarissimo, e illudendosi che anche i cinesi siano preoccupati delle ricadute della pirateria Houthi. Pechino, invece, è parte attiva di questo gioco ai nostri danni. In questi giorni, tra l’altro, tesse con un’insolita visita ufficiale di alto livello a Pyongyang una rete che lega strettamente la Corea del Nord alla Cina. Perché questo è il disegno, in cui tutto si tiene: mettere sotto il massimo stress militare possibile il presidente americano, contemporaneamente in Europa orientale, in Medio e in Estremo Oriente. E dare al suo rivale Donald Trump, che l’Asse spera di rivedere alla Casa Bianca a fine anno, l’opportunità di promettere ai suoi elettori un’«era di pace» in cui l’America si chiamerà fuori da conflitti «non suoi». All’orizzonte, in realtà, c’è un’era di guerre regionali ben coordinate tra loro da russi, cinesi, iraniani e loro alleati minori, che contano di ricavarne il più ampio bottino.