Fisco amico, il concordato segue il modello americano

Fisco amico, il concordato segue il modello americano

L’approvazione in Consiglio dei ministri del decreto attuativo della riforma fiscale con il concordato preventivo biennale e la riforma dell’accertamento ha dato la stura alle solite critiche dell’opposizione, Pd in primis, che liquida la normativa come «regalo agli evasori». Ovviamente, si tratta delle solite polemiche politiche perché per parlare di «condono», come hanno fatto sia i dem che i pentastellati, occorrerebbe la definizione di uno sconto su imposte e/o sanzioni e interessi. Non è questo il caso. In primo luogo, perché non si regala alcunché ai presunti «furbetti». Secondariamente, perché vi sono esempi esteri di patti tra fisco e contribuenti.

Il concordato preventivo biennale, come ha spiegato il viceministro dell’Economia Maurizio Leo, «interessa oltre 4 milioni di contribuenti (2,4 milioni di soggetti Isa e 1,7 milioni di forfettari)». Alla misura potranno accedere anche coloro che hanno un voto nella pagella fiscale inferiore a 8. Sono 1,3 milioni di soggetti con un reddito medio di 23.500 euro circa.

Ed è proprio per questo motivo che si può parlare di «scommessa». Entro il 15 giugno l’Agenzia delle Entrate metterà a disposizione di imprese, professionisti e autonomi con ricavi fino a 5,1 milioni di euro un software per inserire i dati in base ai quali sarà formulata la proposta di concordato. L’imposta da saldare sarà verosimilmente più alta di quella pregressa. Il governo, infatti, non ha accettato l’invito del Parlamento a limitare lo scostamento entro una soglia del 10% rispetto all’ultima dichiarazione.

Chi accetterà (il termine è il 15 ottobre) la proposta verserà lo stesso importo per due anni anche in presenza di un calo dei ricavi, salvo variazioni significative superiori al 30% in aumento o decremento. Il vantaggio è il riparo dagli accertamenti che, tuttavia, finora hanno interessato solo il 5% delle partite Iva. Una probabilità destinata ad aumentare visto il potenziamento dell’Agenzia delle Entrate sia in termini di organico che in materia di accertamento con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per l’incrocio delle banche dati e con l’allungamento dei tempi da 5 a 8 anni.

Possiamo, pertanto, considerare il concordato preventivo biennale come una sorta di ultima chiamata a coloro che hanno in alcuni casi occultato parte dei redditi: o si acconciano a pagare di più o potrebbero finire nella rete del fisco. Tanto è vero che mentre l’ultima versione del decreto non cifra più il maggior gettito (inizialmente stimato in 1,8 miliardi in due anni), fissa in 143 milioni annui il recupero base dell’evasione Iva dall’e-commerce. Le aspettative non sono, tuttavia, modeste poiché, come ha dichiarato il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, «sarà possibile far emergere imponibile che consentirà di ridurre ancora le aliquote Irpef».

Per quanto riguarda l’accordo tra fisco e contribuenti, non si possono trascurare gli esempi esteri della Svizzera («regime del dispendio») che tassa i domiciliati stranieri sulla base delle spese effettuate presumendo costi sostenuti per almeno 400mila franchi. Lo stesso vale per la Gran Bretagna che consente ai domiciliati non residenti di pagare progressivamente forfait Irpef di 30mila e 60mila sterline per i primi 15 anni di stabilimento. Analogamente, per quanto in questi casi non sussista un regime concordatario, non si può non osservare come tra i cantoni svizzeri e gli Stati degli Usa sussista una sorta di «concorrenza fiscale», basata sulle aliquote applicate ai redditi d’impresa e al fatturato. Dunque, non si può parlare di «regali» ma di certezza del prelievo che semplifica i rapporti con il fisco.

Leave a comment

Your email address will not be published.