La rivelazione scioccante è arrivata nel corso dell’incontro del procuratore di Palermo Maurizio de Lucia con gli studenti di Casal di Principe, la città in provincia di Caserta conosciuta in tutto il mondo per l’omonimo ed efferato clan camorristico. Gli alunni delle scuole locali hanno posto una serie di domande al magistrato in un luogo emblematico: erano ospiti nell’edificio confiscato alla criminalità organizzata e intitolato a don Peppe Diana, il sacerdote ammazzato trent’anni fa dalla camorra, il 19 marzo 1994. Uno dei ragazzi ha sollecitato de Lucia sul perché il boss siciliano Matteo Messina Denaro sia stato arrestato dopo tanti anni di latitanza e il procuratore non si è sottratto alla scivolosa domanda.
La rivelazione choc
“Nel territorio del Trapanese – ha detto de Lucia – il suo territorio, aveva vissuto a lungo, sicuro di non essere scoperto. Indagando dopo il suo arresto abbiamo scoperto che il boss era stato addirittura fermato a un posto di blocco, sette anni fa, in provincia di Trapani. Ma non fu riconosciuto dai carabinieri che controllarono il suo documento, tutto sembrava in regola”. Una risposta forte che conferma come Messina Denaro sarebbe riuscito a sfuggire ai carabinieri e ai poliziotti anche quando si è trovato faccia a faccia con loro. L’incontro è avvenuto dopo che gli studenti hanno letto e analizzato con i propri docenti il libro intitolato La Cattura – i misteri di Matteo Messina Denaro e la mafia che cambia, scritto a quattro mani dal procuratore con il giornalista de la Repubblica Salvo Palazzolo. Il magistrato ha provato a spiegare agli alunni come il famigerato boss della mafia riusciva ad eludere i controlli.
Le soffiate
“Messina Denaro – ha continuato de Lucia – fidava sul fatto che le forze dell’ordine avevano sue foto vecchie di anni, ma c’era anche chi lo avvisava dei movimenti degli investigatori. Ci dobbiamo interrogare su come sia stato possibile che abbia trascorso trent’anni in latitanza. Oggi, l’impegno della procura di Palermo è quello di individuare chi ha favorito Messina Denaro”. Il procuratore, come riporta il quotidiano la Repubblica, si è soffermato sull’importanza delle misure di prevenzione per arginare il fenomeno criminale su cui non sono auspicabili passi indietro. “Cosa nostra ha subito colpi importanti, è stata indebolita ed è più povera – ha precisato –ma le famiglie provano sempre a riorganizzare un organismo di vertice e soprattutto ad arricchirsi nuovamente, attraverso il traffico di stupefacenti”.
L’esempio dei martiri delle mafie
Il magistrato, infine, ha evidenziato come non sia mai opportuno abbassare la guardia nei confronti della criminalità organizzata, anche nel rispetto di quelle vittime innocenti delle mafie che hanno sacrificato la loro vita per combattere le ingiustizie e i soprusi.“Il rischio più grande che oggi corriamo – ha aggiunto il giornalista Palazzolo – è quello di non comprendere l’evoluzione del fenomeno mafioso. Don Peppe Diana in Campania e don Pino Puglisi in Sicilia invitavano la Chiesa e la società civile a una testimonianza più attiva, per la liberazione del territorio, ma restarono soli. Per questo furono uccisi. Questo è il motivo per cui oggi non possiamo permetterci altre pericolose sottovalutazioni”.