Non è una questione di femminismo, nella musica. Non è il femminismo ad aver determinato il talento di Ella Fitzgerald o di Wanda Jackson. C’entra in qualche caso, è vero, se si parla per esempio delle Sleater Kinney, band statunitense nata negli anni ’90, i cui testi sono fortemente connotati dai temi politici già presenti nel movimento «Riot grrrl». Un lavoro da donne. Saggi sulla musica (BigSur, pagg. 324, euro 20, prefazione di Claudia Durastanti), è un’antologia di scritti di musiciste, giornaliste, scrittrici, discografiche sul loro rapporto con la musica e con la musica di altre donne. È curata da Sinéad Gleeson, esperta del settore, e da Kim Gordon, già bassista dei Sonic Youth, gruppo rock fondato nei primi anni ’80 a New York, e al centro del culto della scena rock e post-rock internazionale.
Dalla sperimentalista Laurie Anderson alla agit-prop Sis Cunningham, in queste pagine non è tanto il «femminismo» a farla da padrone, quanto la consapevolezza che esistono caratteri specifici di «sensibilità femminile», o di «femminilità», in grado di fornire valore aggiunto all’arte. Senza contare quanto siano state determinanti la grinta e la tenacia che spesso le donne sfoderano più dei maschi. È il caso di Lucinda Williams, cantante country-rock, nativa della Louisiana, una drifter, vale a dire disadattata e vagabonda, che ha avuto successo a 45 anni. Peregrinazioni e infelicità sentimentale le sue (un percorso non dissimile da quello di Ella Fitzgerald, nata nella miseria e cresciuta nell’abbrutimento), fino alla rivelazione delle proprie straordinarie capacità.
Una storia particolare, e con un finale tragico e precoce, è quella di Lhasa de Sela, raccontata da Maggie Nelson, sua amica dall’adolescenza a San Francisco. La cantante, di padre messicano e madre statunitense, artistoidi girovaghi, nove fra fratelli e sorelle (tre delle quali circensi), raggiunge il successo a 25 anni con un cocktail di canzoni in spagnolo, francese, inglese, uno stile pop-folk indefinibile, frettolosamente incasellato nella world music. Storia tragica, si diceva, terminata con la morte per cancro a 37 anni. Lhasa è l’esempio di una forte personalità poco incline a farsi dettare le regole non solo da una società maschile, ma anche dal conformismo di chi dice di volerla combattere. Molto curiosa e un po’ inquietante è la vicenda di Wendy Carlos, nata Walter e trasformatasi in donna a 33 anni. Un caso di disforia di genere a lungo tenuta segreta per ragioni di opportunità, ma erano altri tempi. Persona di eccezionale intelligenza, allieva prediletta di Robert Moog (l’inventore dell’omonimo sintetizzatore), Carlos usò le potenzialità dello strumento per reinterpretare Bach, e compose le colonne sonore di Arancia meccanica e Shining di Stanley Kubrick. Per anni continuò a fingersi uomo, anche dopo l’operazione. Persino al colloquio con Kubrick si truccò per sembrare il meno femminea possibile, come faceva in ogni occasione pubblica, temendo il rifiuto e i pregiudizi. Chiusa l’autrice (oggi 84enne) in una privacy impenetrabile, anche molte sue composizioni sono state rese indisponibili su internet. Lei nel frattempo si dedica alla fotografia delle eclissi solari, con risultati apprezzati dalla Nasa.
A Eunice Kathleen Waymon, nota come Nina Simone, è dedicato il libro di Gianni Del Savio Nina. La storia musicale e politica di Nina Simone (Shake edizioni, pagg. 160, euro 17). La pianista e cantante del North Carolina ha attraversato gran parte del ‘900 sull’onda di una violenta rivoluzione musicale e politica. Attivista dei movimenti per i diritti civili dei neri, ha vissuto visceralmente la sua arte, spaziando dalla musica classica al blues, dal gospel al pop, con un’intensità pari alle sue passioni, agli amori infelici, alla dipendenza dall’alcol.
Arte e autodistruzione sono state spesso un abbraccio pericoloso, e anche mortale, per tante icone della musica recente. Se ne trovano parecchie, di storie così, fra le 50 che il musicologo Philip Auslander ha inanellato nel volume Donne rock! L’arte e la vita delle protagoniste della musica contemporanea (White Star, pagg. 240, euro 29,90). Fra icone intramontabili come Janis Joplin, e la tutt’ora vitalissima Grace Slick, abbiamo i ritratti di dive di oggi come Lady Gaga, erede della tradizione glam di David Bowie. Grazie alla musica è decollata la carriera dell’ultraottantenne Barbra Streisand, come racconta lei stessa nell’autobiografia My name is Barbra (Viking Press, in corso di traduzione). Un manico di scopa a simulare il microfono da bimba e poco dopo dai club del Greenwich Village nacque una star. È l’insicurezza a dominare la maggior parte delle vite di queste donne, paradossalmente intrecciata a caratteri di ferro. Sembrano non farcela mai, e ce la fanno sempre. A leggere Il suono nel suono. Ascoltare davvero il Ventesimo secolo, di Kate Molleson (Edt, pagg. 328, euro 26) si scorrono le vite di compositrici come l’etiope Emahoy Tsegué-Maryam Guèbrou, la danese Else Marie Pade, la neozelandese Annea Lockwood, la francese Éliane Radigue. Tutte hanno in comune, a parte longevità e sperimentalismo, vite spesso drammatiche. Vite rock, anche quando la loro musica non lo è.
E intanto le donne rock aumentano: sempre di più suonano il basso, la batteria, la chitarra solista, strumenti associati solo a figure maschili. Nel mondo si diffondono sempre più le girl band. Segnaliamo in Italia le Bambole di pezza, riuscito connubio di energia punk e refrigerio pop.