Solo la Madonna di Bonaria, patrona massima della Sardegna e protettrice dei naviganti, poteva accompagnare GigiRiva (così piace scritto ai sardi) nell’ultimo viaggio. Lei al braccio di Lui, navigante sbarcato quasi per caso e, senza che nessuno se lo sia detto ma chissà quanti lo avranno pensato, trasformato in patrono di una terra che ritrovò un colpo d’ala e il sorriso con quel paladino venuto da Leggiuno. Riva non era uomo di parole, ma stavolta non ce n’era bisogno: bastava ammirare quel meraviglioso muro di 30mila persone presenti sulla piazza, chiamata dei Centomila, per ascoltare la voce di un’Isola certo ma pure di un’Italia che mai ha smesso di riconoscerlo personaggio affidabile e silenzioso, sicuro e rassicurante, goleador sempre: con la maglia del Cagliari o della nazionale. Ma goleador non vuol dire solo gol.
«Siamo orfani di un mito», ha sintetizzato Malagò, presidente del Coni. «Un personaggio umile e perbene che lasciava i riflettori agli altri», ha concluso il ct Spalletti. «I funerali solenni riconoscono, oltre alla cifra sportiva, anche quella morale», detto dal ministro dello sport Abodi. Eppoi tanti ex ragazzi calciatori: dai compagni del Cagliari scudettato, ai campioni del mondo 2006 rappresentati da Buffon e Cannavaro, Perrotta e Amelia. E con loro Zola e Peruzzi, Albertini, Tardelli, Branca, il Cagliari con il presidente Giulini e Ranieri, compreso quel ragazzino, Oristanio, sorretto dalle stampelle.
«Lo sport è come la vita: arte, disciplina, estro e fatica» ha raccontato l’arcivescovo Giuseppe Baturi che officiava la celebrazione. C’era un po’ di tutto questo nel Riva figlio accettato e amato dalla Sardegna. Sulla bara la maglia rossoblu e quella della nazionale, il numero 11 come brand di successo. Al funerale c’era anche Rocco Sabato, l’ultimo calciatore che indossò quel numero prima che venisse ritirato. Tante piccole storie dietro ad un feretro. La Fifa ha ricordato il campione, a Zurigo, con la bandiera a mezz’asta. In chiesa il gotha sportivo: Abodi e Malagò, Gravina e gli ex presidenti Figc, Carraro e Abete, con loro i sindaci di Cagliari e Leggiuno. Sventolio di sciarpe e bandiere, quelle rossoblu e quelle dei Quattro mori simbolo dell’Isola. «Il cuore di Cagliari e qui e lo saluta» ha ricordato l’arcivescovo. Eppoi il mare a guardare la basilica, mare amato da Riva, bellissimo ma stavolta spettrale, mare silenzioso davanti a quel mare di folla. La tumulazione nel cimitero della Basilica, che dal 1968 non era stato più riaperto. Vi riposano personaggi che hanno illustrato la Sardegna. Ma che poi il campione e l’uomo abbiano lasciato traccia, segnato una via, lo ha ricordato il figlio Nicola, improvvisando un discorso delicato e struggente. «Vorrei fare le condoglianze a me e a tutte le persone che hanno sfilato davanti alla camera ardente incuranti anche del freddo: come fosse andato via un famigliare di tutti i sardi e di tante persone che gli volevano bene. Quella era la sua gente, la famiglia che aveva perso. Penso abbia ricambiato non solo i sardi, ma gli italiani tutti. È stato hombre vertical fino alla fine».
Parole dirompenti come un rombo di tuono. Ma neppure un rombo di tuono sarebbe stato capace di sovrastare il silenzio dolente di una Italia che ha perso un suo Campione. E stavolta non parliamo solo di sport.