Novak Djokovic, quando tutto questo un giorno sarà finito, si siederà da qualche parte a raccontare storie. Lo farà con quel passo da leggenda, dove il reale e l’immaginario si confondono e ogni cosa sembra verosimile e indefinita. Allora guarderà negli occhi un gruppo di ragazzi un po’ ribelli, sfoderando il migliore dei suoi sorrisi arguti, e parlerà del suo migliore amico, l’albero misterioso che lo aspetta anno dopo anno nel parco botanico di Melbourne. «Abbiamo ancora un rapporto speciale. Sono entrato in contatto con lui un giorno che mi sentivo perso. Mi piacevano le sue radici, i suoi rami e tutto il resto. Così anni fa ho iniziato ad arrampicarmici sopra. Ci restavo almeno due ore, solo lui e io e pensavo e ci chiacchieravo. Tutto qua». Nessuno sa quale sia l’albero. Il parco è un santuario della natura. Ci sono ventisettemila specie di piante diverse. Non è affatto facile cercare l’albero di Djokovic. Nole non vuole svelarne l’identità. Non adesso, che le sue avventure nel tennis sono ancora in corso. L’albero è qualcosa di più di un amico immaginario. È il destino. C’è chi ha provato a svelare il mistero. Alla fine dei quarti con Fritz si è presentato con microfono in vista Nick Kyrgios: «So che c’è un albero con cui ha un legame forte nei giardini botanici reali. Puoi mostrarmi quale albero è? Ho bisogno di rimettermi in salute perché sono stufo che tu vinca su questo campo». La risposta di Novak: «Ti mostrerò l’albero. Ma non puoi dire a nessuno dov’è. Questo è un grande segreto. Una volta arrivato devi toglierti le scarpe, arrampicarti sul punto più alto e restare appeso a testa in giù su uno dei rami più alti per 33 minuti e 3 secondi. Solo allora vincerai uno Slam».