Qualcuno avrà fatto come Fiorello: spengo la tv e al diavolo quei fischi. Altri, tanti, davanti alla tv erano in 7 milioni abbondanti, saranno rimasti increduli, delusi, arrabbiati. I fischi del pubblico di Riyad hanno lasciato il segno perfin più di un onorevole e sentito minuto di silenzio. Gigi Riva forse avrebbe alzato le spalle, magari compreso quell’usanza per noi strampalata: se non riusciamo a star zitti per un minuto, piuttosto gli applausi. Ma i fischi no. Invece da quelle parti, è stato spiegato, non è accettato: nella cultura araba non esiste il minuto di silenzio. E qui casca il bel castello dei 23 milioni che gli acquirenti hanno rifilato ai nostri cercatori d’oro o di elemosina. L’usanza del minuto andava spiegato al pubblico prima di mandarlo in onda. Vero è che già nella semifinale di Supercoppa spagnola, fra Atletico Madrid e Real, il ricordo di Beckenbauer aveva subito egual maltrattamento. A maggior ragione, andavano prese contromisure. Ma, dato per scontato un errore di valutazione, qualcosa va oltre. E qui non c’è abitudine araba che tenga. Questa Supercoppa esportava il nostro calcio, il modo di intenderlo, giocarlo, viverlo: compresi usi e costumi. E chi ha pagato ha accettato il pacchetto completo. Dunque se noi rispettiamo tradizioni altrui, è altrettanto chiaro che, se compri uno spettacolo del calcio made in Italy, devi accettare pure le sue abitudini. Il pacchetto da 23 milioni contemplava tutto ciò, che fosse scritto oppure no. Questo dovrebbero capire gli sventati padroni del nostro pallone e i superficiali (superbi?) compratori arabi. Meglio sarebbe non vendere più, a queste condizioni, gli spettacolini calcistici. Ma, in ogni caso, non ci può essere vendita, o svendita, di sentimenti, usi e costumi.