Il professor Sabino Cassese, intervistato dal Corriere, l’ha servito come se fosse un raccontino di alleggerimento: nel 1993, da ministro della Funzione pubblica durante il governo Ciampi, nel pieno di Mani pulite, «decidemmo di scorporare il costo della corruzione dal bilancio dello Stato e quindi di toglierlo dalla legge finanziaria… D’accordo con Ciampi, presi contatto col pool di Milano e il dottor Davigo viene in gran segreto a Roma a lavorare sulle cifre con me. A Roma nessuno, a parte noi due e il presidente del Consiglio, sapeva di questi incontri. Anzi, solo un quarto, che mantenne il segreto». E chi era? «Cesare Geronzi, che ci mise a disposizione un ufficio della Banca di Roma in via del Corso. Io e Davigo lavorammo per un intero giorno, entrando separatamente in quel palazzo da due ingressi riservati».
Appunti di Storia, quindi: il citatissimo «strapotere dei giudici» e la famosa «supplenza della magistratura» non rappresentò delle iperboli ma dei dati di fatto avvalorati anche da altri episodi più o meno noti dello stesso periodo. Ancora nel febbraio 1993, infatti, poco prima che nascesse il citato governo guidato da Carlo Azeglio Ciampi, il neo Guardasigilli Giovanni Conso, sotto il governo di Giuliano Amato, lavorava a un pacchetto di provvedimenti per una soluzione che affrontasse le inchieste che impazzavano in tutto il Paese: una soluzione auspicata anche da una parte della magistratura, visto che due pm dell’inchiesta milanese, Gherardo Colombo e Antonio Di Pietro, avevano indicato in una sorta di «condono» il solo modo di interrompere la spirale degli arresti.
Il capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, il 26 febbraio 1993 aveva praticamente accettato che fosse riformulata una precedente proposta di Colombo fatta: «I politici corrotti dicano tutto, restituiscano il maltolto e poi rinuncino all’elettorato passivo», ossia lascino la politica. Così avrebbero evitato la galera. Il decreto poi si concentrò solo sul reato di finanziamento pubblico, lasciando scoperte molte contestazioni, e seguì tutto il suo iter: ma vi fu anche un incontro milanese atipico tra la segreteria del Quirinale e il capo della Procura di Milano Francesco Saverio Borrelli.
Anche il segretario generale della presidenza del Consiglio, Fernanda Contri, di ritorno da Milano, disse a Giuliano Amato: «Borrelli mi ha detto che non ci sono problemi, ma avvertono che la misura è largamente antipopolare e quindi non possono garantire nulla». Ma alla fine, il Decreto, complice un subentrato disaccordo dei magistrati e un coro di indignazione orchestrato sui principali quotidiani, fu svuotato e annullato. Anni dopo, in un libro del 2002, lo stesso Francesco Saverio Borrelli dirà: «La presa di posizione sul decreto Conso, era stata – inutile negarlo – una forma di pressione sul Parlamento… Non voglio dire che eravamo gli unici interlocutori della politica, ma nei fatti eravamo l’unica voce ascoltata. I nostri uffici erano meta del pellegrinaggio di personaggi politici… la presa di posizione contro il decreto Conso rientrava nel clima di quel momento storico».
Durante il primo governo guidato Silvio Berlusconi, nell’autunno del 1994, si crearono poi strane consonanze tra l’allora Alleanza nazionale e il pool di Milano: Sulla Giustizia, ogni ipotesi di legge non repressiva trovava ostacoli anche nella maggioranza. Pinuccio Tatarella (An) a metà agosto aveva candidato Di Pietro perché prendesse parte a un gruppo di saggi che rifondassero la Repubblica, e il 31 agosto Pier Camillo Davigo si ritrovò con Ignazio La Russa (di cui era buon conoscente) per discutere di un nascente progetto di legge. E ancora, dopo l’estate, il 2 settembre 1994, a Cernobbio, un Di Pietro vestito di blu accennò a una legge elaborata dal pool in accordo con la classe imprenditoriale: grandi applausi di An (anche imbarazzanti, a rileggere i giornali di allora) a margine di un convegno che non annoverava nessun esponente della Fininvest. Confindustria appoggiava la proposta legislativa del Pool che poi venne presentata il 14 settembre all’Università di Milano. Ma il mandato di comparizione per Berlusconi, in novembre, mandò tutto all’aria, dando una robusta spallata anche al governo.