La strage dei soldati israeliani. Hamas: no alla tregua di 2 mesi

La strage dei soldati israeliani. Hamas: no alla tregua di 2 mesi

Israele ha subìto l’incidente più mortale dall’inizio della guerra, con 24 uccisi di cui 21 in un’esplosione causata da due missili da spalla che hanno colpito le grandi cariche di tritolo che hanno in parte ferito direttamente, in parte causato il crollo di due edifici che hanno travolto i soldati dell’unità 261. Due sono invece stati uccisi nel loro tank. È stato travolto dallo scoppio un grande gruppo, formato da riservisti, figli, padri, mariti. Il più giovane era Nicolas Berger di 22 anni, di Gerusalemme, il più vecchio Shay Biton Hayun di 40 anni, di Zicron Yaakov, vicino a Haifa.

L’elenco degli uccisi è una tragica carta geografica di tutta Israele, da Tel Aviv (Cedrick Garin 23 anni) a Elkana Yehuda Sfez, 25 anni, in Cisgiordania. Piange tutta Israele da Pardes Hanna-Karkur, un’elegante cittadina residenziale al centro, a Rosh Haayn, all’estremo Nord, ad Alon Shvut, in Cisgiordania. Guardando una mappa si vede che la vita del Paese piccolo e comunitario è crivellata ovunque dalla strage dei 219 soldati uccisi in una delle più difficili guerre mai combattute, dalle migliaia di feriti e mutilati causati dal lunghissimo combattimento sopra e sotto terra, in un terreno organizzato da Hamas non per la vita della gente, ma per essere la fortezza di una delle organizzazioni terroriste più forti e organizzate del mondo. L’origine degli uccisi, disegna una mappa esatta: laici e religiosi, con radici nei Paese arabi e negli Usa, molti in servizio dal primo giorno di guerra, quasi tutti con bambini piccoli, un lavoro nell’hi tech, nella scienza, comandanti e soldati semplici, determinati a combattere fino in fondo una guerra di necessità.

Ieri i soldati sul campo pregavano la folla israeliana di non scoraggiarsi e di restare uniti dietro lo sforzo attuale, a Khan Yunis, di scovare e sconfiggere Sinwar. Questo è lo spirito del momento. Alla strage di ieri Israele cerca di rispondere con l’arma della resilienza che l’ha sempre salvata durante guerre impossibili come quella del ’73 o la seconda Intifada, e che l’ha guidata in imprese come quella di Entebbe. Netanyahu, Gantz e Gallant si sono presentati tutti insieme solo per testimoniare sofferenza e impegno a combattere fino in fondo. Il capo di Stato maggiore Herzi Halevi ha fatto lo stesso. I concetti sono identici: combattiamo una guerra indispensabile, Gaza deve essere sgomberata da Hamas perché Israele possa vivere, indaghiamo l’accaduto perché non si ripeta. Meno che mai, nonostante bruci l’impegno verso i rapiti, si sente parlare di cessare dalla guerra. Nessuno, né a destra né a sinistra avanza questa prospettiva.

Il disegno di Netanyahu per uno scambio con due mesi di intervallo e lo scambio di prigionieri palestinesi (ora si parla anche di quelli della Nukba) con tutti gli ostaggi, pare sia stato rifiutato da Hamas. Ma tutto può cambiare: Hamas festeggia il colpo inferto, ma sottovaluta il contraccolpo. L’esercito, all’attacco nel Sud, ha quasi interamente circondato Khan Yunis, combatte più deciso, lo scopo è una sconfitta sia simbolica che pratica della patria e della centrale operativa di Sinwar. Non si dice, ma il sottinteso è sempre qualche speranza di raggiungerlo, e di salvare i rapiti. Se si guarda dove è accaduto il disastro, la cartina mostra un luogo di confine a millimetri dai kibbutz della strage, Be’eri, Kfar Aza, Kissufim, accanto dall’area di Re’im dove furono sterminati i giovani di Nova. I soldati creavano sul terreno di confine una zona vuota, visibile da ogni parte, così che da dentro Gaza non sia di nuovo possibile entrare e uccidere.

Mentre Israele promette di continuare la battaglia, si insiste da parte americana di nuovo per una «pausa umanitaria» e cinque Paesi arabi si stanno occupando di cercare un impegno saudita che spinga avanti la soluzione palestinese. Possibile: ma prima di tutto, da Gerusalemme si vede un Paese innanzitutto deciso a non abbandonare la necessità primaria della guerra: distruggere Hamas.

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