“L’America è tornata”. Così proclamava Joe Biden dopo la sua elezione. Ma tre anni dopo l’inizio della sua presidenza quanto sono ancora valide queste parole? E quali capacità hanno ancora gli Stati Uniti di influenzare la politica internazionale? È quello che sta cercando di capire il segretario di Stato Usa Antony Blinken, ormai alla sua quarta missione in Medio Oriente dagli attacchi del 7 ottobre. Una shuttle diplomacy paragonata a quella di Henry Kissinger che però andava in scena in un momento storico, gli anni Settanta, in cui di fatto a dominare i rapporti di potenza erano solo l’America e la Russia.
Proprio all”inviato” Blinken il Time ha dedicato la copertina del suo ultimo numero definendo i suoi sforzi internazionali un vero e proprio test della leadership americana. E il risultato, a giudicare dalle cronache degli ultimi giorni, non è dei più incoraggianti. Infatti, il conflitto nella Striscia di Gaza procede senza sosta e le operazioni dell’Idf non sembrano essere state influenzate dagli appelli di Washington ad un più moderato uso della forza militare.
Sebbene sia difficile vedere progressi in Medio Oriente, nei mesi scorsi le abilità diplomatiche di Blinken hanno prodotto comunque dei risultati non trascurabili. Le maratone di negoziati ai quali ha partecipato hanno aperto la strada alla visita di Biden pochi giorni dopo la strage di Hamas, all’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia e alla liberazione di alcuni ostaggi. “I numeri sono insoddisfacenti rispetto a quello che è davvero necessario ma da qualche parte bisogna pur cominciare” ammette il segretario di Stato ai giornalisti del Time spiegando che “non è mai come premere l’interruttore della luce. È sempre un processo”. E nella sua agenda non c’è solo Gaza ma anche l’Ucraina, la Cina e l’Africa.
Per chi lo conosce Blinken è la migliore speranza per la politica estera a stelle e strisce. “È l’uomo giusto al momento giusto” afferma Tom Nides, ex ambasciatore americano in Israele, aggiungendo che “Tony è una brava persona”, almeno sinché non lo fanno arrabbiare. Nell’attuale mondo multipolare serve “più diplomazia e lui è perfetto per questo” sostiene John Kerry, ex responsabile di Foggy Bottom al tempo dell’amministrazione Obama.
Nonostante le migliori delle intenzioni, l’incapacità degli Stati Uniti di condizionare le operazioni militari israeliane sta però presentando il conto. I Paesi arabi hanno avvertito Blinken che l’America “sta cancellando 30 anni di sforzi” nella regione. Il Global Times, quotidiano del Partito comunista cinese, commentando la missione in corso del rappresentante degli esteri Usa a Capo Verde, Costa d’Avorio, Nigeria e Angola, asserisce che le troppe crisi in cui Washington è coinvolta le impediscano di “prestare attenzione all’Africa occidentale e al Sahel”.
E poi ci sono le ripercussioni che la politica estera sta avendo sulla campagna elettorale per la rielezione del presidente. Secondo un sondaggio del New York Times il 57% degli intervistati disapprova la gestione della guerra a Gaza da parte della Casa Bianca. Blinken ribadisce che una delle priorità dell’amministrazione democratica sarà porre fine al conflitto il più in fretta possibile. “Tutto quello che possiamo fare è essere responsabili nel momento in cui ci troviamo” afferma. Forse sperando che possa bastare.