Nobuya, la cucina giapponese in Italia ha un nuovo standard

Nobuya, la cucina giapponese in Italia ha un nuovo standard

Milano ha un altro grande ristorante giapponese. Si chiama Nobuya, si trova in via San Nicolao numero 3a, tra Magenta e Cadorna, ha aperto a fine novembre e si candida a essere un indirizzo imperdibile per chi ama la cucina del Sol Levante. Secondo me già ora è nella top five italiana, non sarebbe impensabile che già da novembre prossimo la Michelin ne faccia il secondo locale nipponico stellato del nostro Paese; e dico questo sfidando la scaramanzia che gli chef maneggiano volentieri quando qualcuno gli prospetta simili esiti.

Nobuya prende il nome da Niimori Nobuya, classe 1973, che bazzica il nostro Paese da una ventina di anni. Ristoranti di cucina italiana alta, come la Madonnina del Pescatore di Moreno Cedroni a Senigallia e il Don Carlos di Milano, poi diversi giapponesi eleganti, sempre nel capoluogo lombardo, come Nobu e più recentemente Sushi B in Brera. Nobuya ha un calore che promana dalla sua faccia scolpita nella pietra e una voglia di esprimersi come mai in precedenza, come di chi, a cinquant’anni, sente di dover fare i primi bilanci. La sua cucina è naturalmente empatica senza per questo cercare strade facili, in equilibrio tra le due culture, quella giapponese e quella italiana, non tanto nelle tecniche e nell’estetica dei piatti che comunque privilegiano le origini asiatiche, ma nell’approccio colto e rilassato, direi profondo nel senso più pieno del termine.

Nobuya propone due menu omakase: otto portate a 120 euro e sei vegetariane a 100. La carta è all’apparenza piuttosto classica ma in essa la fantasia, la ricerca, la provocazione sono sempre in agguato. I crudi sono commoventi, in particolare il Carpaccio di capasanta di Hokkaido, gambero viola, caviale, olio al plancton e aria di yuzu e il Sashimi di salmone scozzese, gambero rosso, ricciola, ventresca di tonno. Sublime l’anguilla Kabayaki servita su una base di riso, un piatto che definirei spirituale, che si fa mangiare in uno spesso silenzio. Poi la Triglia con olio shiso, foglia di soia tagliata sottilissima e maionese di erba cipollina. Un gelato al cassis, prato di biscotto, spugna al latte di soia e cacao amaro, sbriciolato di mandorle speziate e della polvere di shiso rosso e coriandolo apre la strada al dessert vero e proprio preparato dalla bravissima pasticciera iraniana Mina Karimi: il Milky Way, riso giapponese cotto nel latte di mandorla, un sorbetto arancia amara e izukoshi e una spuma al latte di cocco e dei cracker fatti con yogurt di soia e polvere di kinako, ovvero soia tostata.

Il locale è elegante, sommesso, di quelli che inducono a parlare sottovoce non per sussiego ma per un senso di intimità in cui si è naturalmente indotti. Materiali caldi, legno e porfido, un bellissimo lampadario di Murano che mima un fiore di loto, le travi a vista sul soffitto a omaggiare il passato del locale, la cucina a vista. La sala è condotta con eleganza e competenza da Marco Scarpulla, la carta prevede vini convenzionali e meno e molti sake. Ci sono anche distillati e birre, oltre a una carta dei tè.

Nobuya, via San Nicolao 3a, tel. 3318088558. Aperto solo la sera, chiuso la domenica

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