– Il consistente sbraitare sulla nomina di Luca De Fusco al Teatro di Roma tradisce l’irritazione della sinistra per non essere più dal tavolo a dare le carte. Ma dimostra anche un certo livello di arroganza. Intanto perché se le nomine le fa un CdA, non si capisce per quale motivo Regione e ministero avrebbero dovuto esentarsi dal piazzare un signore che ritengono adeguato (forse Franceschini telefonava a Meloni quando metteva i suoi ai vertici della Cultura?). E poi a questo povero De Fusco, prima di considerarlo un paracadutato, potremmo almeno dargli il tempo di dimostrare se è bravo oppure no? Accusarlo di partigianeria destra o considerarlo un “inquietante segnale”, scusate se mi permetto, pare un tantino discriminatorio. E basato su pregiudizi politici.
– La storia più incredibile però la racconta Luigi Mascheroni sul Giornale. Sapete chi è a urlare di più in questa folle storia sul Teatro di Roma? L’attuale presidente, tal Francesco Siciliano. Il Pd parla di “occupazione della Cultura da parte della destra” senza sapere, o facendo finta di non ricordare, che Siciliano sta lì come presidente ma prima era l’ex responsabile del dipartimento culturale del Pd. Alla faccia del “i partiti fuori dalla cultura”.
– Se volete sapere per quale motivo la sinistra fatica a vincere le elezioni, provate a leggere qui. Oggi alla Camera, una deputata dem ha chiesto al ministro Sangiuliano di riferire in aula sul caso del Teatro di Roma. Ora, istituzione importantissima senza dubbio. Ma da qualche mese a questa parte il Pd riesce a cavalcare solo queste battaglie di retroguardia: l’eterno fascismo, la Rai, la “cultura occupata”, il Teatro di Roma. Tutte storie che fanno tanto titolo sui giornali, direi anche incomprensibilmente, ma che alla fine della fiera non interessano a nessuno. E infatti si vede nei sondaggi.
– Alla domanda “lei è anticomunista?”, Rosy Bindi risponde: “Io sono antifascista”. Certo, ha ragione l’ex ministro a ricordare che il PCI partecipò alla scrittura della Costituzione mentre i fascisti no, visto che ne furono esclusi. Eppure sono necessarie due precisazioni. La prima riguarda il giudizio storico del comunismo: se l’opera di “normalizzazione” del PCI in Italia fu lodevole, questo non impedisce oggi di condannare “senza se e senza ma” un’ideologia che nel mondo ha provocato povertà e milioni di morti e che ancora oggi fa grandi disastri a diverse latitudini. La seconda riguarda invece l’attualità: Rosy Bindi si dice preoccupata perché abbiamo “una maggioranza anti-repubblicana” che con la riforma del premierato vorrebbe “annullare la repubblica nata dall’antifascismo”. Posto che è proprio la Carta a prevedere la possibilità di modifica; posto l’innegabile problema di stabilità degli esecutivi nostrani; forse Rosy dimentica che governi con più poteri e solidità (con varie forme) o presidenti eletti direttamente esistono in Francia, Germania, Gran Bretagna e Usa. E in nessuno di questi Stati pare vi sia alcun rischio democratico.
– In molti hanno criticato il ruolo “dei social” nella morte di Giovanna Pedretti, ma anche la stampa non è stata da meno. Forse più di quanto possiamo immaginare. Mi ha molto colpito lo striscione apparso a Sant’Angelo Lodigiano, città dove oggi si sono tenuti i funerali della ristoratrice morta suicida, in cui si legge: “Stampa e tv: rispettate la famiglia, non fatevi vedere mai più”. Qualche anno fa sono stato inviato ad Amatrice nei giorni del disastro e solo in quei casi si comprende quando le domande, la ricerca di una storia, il bisogno di “portare qualcosa a casa” possano infastidire chi la tragedia la sta vivendo davvero. Dice don Enzo Raimondi: “Abbiamo vissuto l’invadenza, l’insistenza del diritto d’informazione, l’arroganza di chi pensa di poter distruggere”. Fa riflettere.
– Leggo i regolamenti per iscriversi a un campionato sportivo per i pargoli under 9. Anziché scrivere “campionato aperto a maschi e femmine”, c’è un asterisco a indicare che alle partite “è ammessa” la partecipazione di “atlete femmine”. Non ditelo a Chiara Valerio o impazzisce.
– A proposito di sessismo, il sindaco di Terni sta cercando di candidarsi a personaggio più odiato dalla sinistra. Dopo le intemerate dei giorni scorsi, oggi ha detto in Consiglio comunale che è “normale” se un uomo “guarda il culo a una donna e ci prova” per portarsela a letto. Ora, è stato sicuramente fuori luogo, sboccato e poco educato. Non doveva dirlo e va sicuramente biasimato. Ma saremmo ipocriti se non affermassimo che, giusto o sbagliato che sia, è ciò che mediamente accade.
– Matteo Salvini va a visitare il pastificio della Rummo e i “social” chiedono di “boicottare” l’azienda. La loro colpa? Aver aperto la porta al ministro dell’Interno. L’immonda ipocrisia di chi chiede rispetto “per le istituzioni” e poi lo riserva solo agli amichetti loro.
– Molto interessante l’omelia di don Enzo Raimondi durante i funerali di Giovanna Pedretti. Soprattutto questo passaggio: in tutta la vicenda, partita dal “debunking” di Biagiarelli e Lucarelli, c’è stato un “rincorrersi, senza alcun filtro, dei sospetti, pesanti come macigni”. Sospetti, non certezze, “costruiti per soddisfare i pruriti di gente ormai frustrata al punto da bramare la narrazione delle disgrazie altrui”. Un meccanismo “dove il teorema da dimostrare, il dubbio da alimentare è che anche dove c’è del bene si nasconde, alla fine, un interesse, un tornaconto. Facendo così diventare le ombre tenebra”. Come abbiamo più volte detto, il suicidio non è colpa né di Lucarelli né di Biagiarelli. Ma il “giudizio sommario” di quell’opera di debunking si basava su ipotesi, illazioni, analisi di screenshot: domande, legittime, ma forse avanzate in modo maldestro tanto da trasformare “in tenebra” delle innocenti “ombre”. Perché in fondo una sola cosa è certa, in questa triste vicenda: non si può morire per una recensione. Vera o falsa che fosse.
– Meraviglioso. Oggi Repubblica apre l’edizione online con un pezzo sentito sui suicidi dei professori italiani causati da “alunni indisciplinati e genitori aggressivi”. Parliamo dello stesso giornale che nei giorni scorsi ha svolto una sorta di campagna stampa per difendere gli studenti del Tasso di Roma, e i loro paparini, che si lamentavano per le severe punizioni cui andranno incontro a causa dell’occupazione dell’istituto. Se i ragazzini sono indisciplinati lo si deve anche al fatto che quando sgarrano e vengono puniti, mammine, politici e giornali di sinistra sbraitano subito contro la “repressione”. Inutile poi piangere sul latte versato.
– Intanto a Donetsk, la città occupata da Putin e abitata da filorussi, è stata attaccata dall’Ucraina con un bombardamento che ha ucciso 28 civili. Colpito il mercato. Non vi sono dubbi su chi invade e chi si difende, ma i civili sono civili. E non possiamo indignarci sempre a corrente alternata: per quelli di Gaza sì, per quelli di Kiev sì, per quelli dei kibbutz un po’ meno e per i filorussi proprio per niente. Così non funziona.
– Gli insulti a Maignan sono deprecabili e vanno condannati: il razzismo non è mai giustificato. Tuttavia sull’argomento occorre dare ascolto a uno che di tempo tra i pali ne ha passato parecchio, tal Dino Zoff. Dice il portierone: “A me di insulti di ogni genere sono arrivati in tutti gli stadi”, quindi “è sbagliatissimo accusare i friulani di razzismo”. La verità è che se quei buzzurri si fossero trovati davanti un portiere di carnagione chiara per insultarlo – non potendo far leva sul colore della pelle – avrebbero usato come scusa la madre, la sorella o chissà cos’altro. Insulti sono e insulti rimangono. Anche se non c’entra la razza.
– Il sondaggio sugli aiuti militari all’Ucraina, pubblicato oggi da Repubblica, è molto interessante. Ve lo riassumo: mai come oggi il sostegno degli italiani a Kiev è stato così basso. Solo il 42% è favorevole a spedire armi in Ucraina. Il punto, però, è un altro. E si tratta di un paradosso. Il Pd infatti è guidato da una leader, Elly Schlein, che sugli armamenti mantiene una posizione ondivaga e poco chiara, mentre la maggioranza dei simpatizzanti dem (il 56%) è ultra favorevole a spedire munizioni a Zelensky. Al contrario, Fratelli d’Italia è guidata da un premier, Giorgia Meloni, che non ha mai mancato di mostrare il suo “atlantismo” e che rivendica di spostare la causa ucraina, eppure solo il 45% dell’elettorato meloniano è favorevole all’invio di armi.