“Io, distrutta da un video intimo rubato”

"Io, distrutta da un video intimo rubato"

Ero in Australia quando (Jason Moore) mi chiamò per dirmi che un video di trentasette secondi in cui facevo sesso stava circolando su Internet.

La mia prima reazione fu: «Cosa? No! Non ho mai fatto niente del genere».

Pensai che qualcuno avesse creato un falso o robe del genere. Mi ci volle un attimo prima di ripensare a quella registrazione privata. Dovetti chiudere gli occhi e fare un respiro profondo. Mi veniva da vomitare. Era una cosa inconcepibile, per me. Non c’era motivo di pensare che un tizio incontrato a caso in un bar potesse essere così infame. O furbo.

Nel giro di qualche ora la notizia di quel video si diffuse a macchia d’olio, accompagnata da voci secondo cui sarebbe seguito un porno in versione integrale. Vidi tutto ciò per cui avevo lavorato così duramente crollarmi davanti agli occhi.

Gli telefonai e lo supplicai. «Ti prego, ti prego, ti prego, non lo fare».

Lui fu freddo e distante. Disse che ormai era troppo tardi, circolava già. Aggiunse che aveva tutto il diritto di vendere una cosa che gli apparteneva una cosa che aveva un grosso valore economico.

Più valore della mia privacy, ovviamente. Della mia dignità. Del mio futuro.

Venni travolta da un’ondata di vergogna, sconfitta e puro terrore. Riagganciai cercando di pensare a quale avrebbe dovuto essere la mia mossa successiva. Avrei dovuto dirlo ai produttori del programma. Peggio ancora, avrei dovuto dirlo ai miei genitori. No, non ce la potevo fare. La mia prima reazione fu piangere come una disperata, con i singhiozzi che salivano dal profondo del petto e mi scuotevano tutta. Mi sentivo come se la mia vita fosse finita, e per molti versi era così. Di sicuro la carriera che mi ero immaginata non sarebbe più stata possibile. L’idea che avevo del mio brand, la fiducia e il rispetto che stavo cercando di ricostruire con i miei genitori, quel briciolo di autostima che ero riuscita a riconquistare tutto demolito in un istante. Il lavoro per The Simple Life e il successo della mia nuova attività mi avevano permesso di coltivare un seme interiore di forza e sicurezza. All’improvviso, non lo sentivo più. Ecco che il vecchio peso mi ripiombava addosso.

Presi un volo per tornare negli Stati Uniti cercando di nascondermi dietro agli occhiali da sole, ma la signora seduta accanto a me capì che stavo piangendo.

«Tutto ok?» mi chiese.

Feci di no con la testa.

Durante le quattordici ore di volo quella donna si dimostrò di una gentilezza incredibile, finché alla fine mi sfogai e le raccontai quello che stava succedendo. Il giorno dopo ero sulla copertina dell’Us Weekly con il titolo «Esclusiva Paris Hilton: la mia versione dei fatti» o qualcosa del genere.

La mamma era furibonda. «Perché rilasciare un’intervista senza aver neanche avuto il tempo di riflettere su quello che è successo?»

«Ma non ho rilasciato interviste!» continuavo a ripetere io. Poi mi sono ricordata di quella donna in aereo. Probabilmente aveva registrato tutta la conversazione. Non so chi le abbia ceduto il posto accanto al mio, ma immagino che suo figlio sia andato in qualche prestigiosa università a mie spese.

La clip di trentasette secondi fu, credo, una sorta di test: un’anteprima per saggiare l’entità della questione, per capire quanto scalpore avrebbe suscitato, quanta gente avrebbe pagato per vedere. Penso che qualcuno ne avesse bisogno per decidere quanto investire su produzione e distribuzione. Se l’intenzione era quella, funzionò. Fu un grosso, grosso affare. Si capì subito. Lo scalpore, neanche a dirlo, fu enorme, grazie al facile mix di ingredienti comici: possibilità di fare battute sulle bionde, di salire in cattedra e sentirsi migliori degli altri, di umiliare una persona che fa una vita privilegiata. Era una specie di versione vietata ai minori dei filmati divertenti che passano in tv dopo cena.

Quando uscì la versione integrale, il prezzo di partenza era di circa cinquanta dollari, sul quale probabilmente c’era un margine di guadagno enorme visto che nessuno dovette investire un centesimo nel marketing. Ci pensarono, gratuitamente, comici televisivi, blogger e giornali scandalistici. Il video era ovunque e chiunque ne parlava, scuoteva la testa e decretava che ero senza pudore. Buffo che nessuno mettesse in discussione il pudore di chi invece guardava filmini a luci rosse con ragazze adolescenti. (…)

L’impatto che ebbe quel video sulla mia carriera è impossibile da quantificare, ma l’aspetto in assoluto peggiore di tutto questo orrore furono le conseguenze per la mia famiglia. Mia madre si mise a letto e ci rimase. Mio padre, furioso e con il viso paonazzo, stava perennemente al telefono con avvocati ed esperti di comunicazione per aiutarmi a limitare i danni. Il primo pensiero fu di sguinzagliare un branco di avvocati inferociti, ma alla fine intuimmo che le denunce non avrebbero fatto che suscitare ancora più clamore. Il consiglio ricorrente della mamma era «Non gettare benzina sul fuoco», e mi sembrava sensato. Funziona spesso così, in un mondo dove distruggere è molto, molto più facile che costruire.

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