Ha trascorso tre anni della sua vita tra carcere e arresti domiciliari, gravato dell’infamante accusa di essere un membro di quel branco che nel 2016 adescò e stuprò una giovane all’interno di un casolare della periferia di Ferentino (Frosinone), nonostante che fosse estraneo alla vicenda.
La sua innocenza fu determinata nel secondo grado di giudizio, quando emerse che il coinvolgimento in quel caso era la conseguenza di uno scambio di persona: il protagonista della vicenda, l’imprenditore 33enne di Frosinone che fu assolto nel 2019, sarà ora risarcito per ingiusta detenzione con 160mila euro. L’uomo, arrestato il 19 dicembre del 2016, rimase dietro le sbarre del carcere fino all’8 agosto del 2018, quando riuscì a ottenere gli arresti domiciliari: la sentenza d’appello, che stabilì la sua innocenza, fu invece pronunciata il 21 gennaio del 2019.
Le accuse nei suoi confronti erano relative a un caso di stupro di gruppo risalente alla notte del 4 settembre 2016. La vittima, una studentessa universitaria di Castro dei Volsci, fu trovata e soccorsa da un’automobilista lungo la via Casilina: alla donna che l’aveva aiutata raccontò di essere stata attirata con l’inganno in un casolare e quindi stuprata da un gruppo di ragazzi. I medici dell’ospedale in cui fu condotta la vittima confermarono gli abusi sessuali, e da quel momento scattarono le indagini per risalire ai responsabili. Dopo qualche giorno, i carabinieri strinsero il cerchio intorno a un gruppo di giovani di Frosinone che orbitava nella zona di Ferentino: l’analisi degli identikit tracciati sulla base del racconto della studentessa portò al fermo dei componenti di tale branco, tra cui anche il 33enne. Furono cinque in tutto le persone a finire a processo con l’accusa di violenza sessuale di gruppo. Tra l’altro il casolare in cui avvennero gli abusi era di proprietà di uno degli indagati.
Tutti gli imputati furono condannati in primo grado, subendo pene da 5 a 6 anni: per il 33enne fu emessa una condanna da 5 anni e 4 mesi. Dimostrando che c’era stato uno scambio di persona, i legali dell’imprenditore riuscirono a far assolvere il loro assistito in appello, mentre per gli altri le condanne furono confermate.
Dopo la sentenza del 2019, il 33enne tornò nuovamente ad essere un uomo libero, ma chiaramente i tre anni di detenzione hanno lasciato più di qualche strascico sia a livello mentale che pratico, essendoci state conseguenze nei rapporti interpersonali e in quelli lavorativi. Per questo motivo il diretto interessato decise di avviare la richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione, basata sull’evidenza dello scambio di persona fin dalle prime fasi del procedimento giudiziario a suo carico. Con l’ordinanza emessa nei giorni scorsi, la corte d’appello ha stabilito il riconoscimento di un risarcimento da 160mila euro: troppo poco per i legali del 33enne, pronti a chiedere alla Corte di Cassazione l’importo massimo da 516mila euro previsto per casi di ingiusta detenzione.