Nicolò Fagioli è forse già un uomo nuovo. Ha capito i suoi errori, chiedendo aiuto. Con l’umiltà del ragazzo fragile, gravato da conflitti irrisolti. La colpa è stata quella di non capire di essere finito in un gioco al massacro. Scommesse su scommesse. L’inferno. Non solo per i soldi persi (tanti, troppi), ma anche per il rischio di autodistruggere la carriera di calciatore e una serenità da ventiduenne privilegiato. Fagioli lo ha compreso in ritardo, scottato da un brutto ambiente tra minacce e ricatti. Crisi nera. Tanto che la punizione della Procura federale è arrivata come una liberazione: 7 mesi di squalifica e un «percorso alternativo» per uscire dalla ludopatia.
Nella sua prima «tappa» verso l’uscita dal tunnel, ad accoglierlo con rara sensibilità sono stati 20 esperti riuniti nella sede del proprio Ordine professionale a Torino. Fra loro il presidente degli psicologi del Piemonte, Giancarlo Marenco e il professor Andrea Lazzara che sul tema ha una competenza specifica. Entrambi hanno accettato di spiegare al Giornale il senso di un impegno teso a contrastare dipendenze che fanno sempre più vittime. E non solo tra i giovani.
Avete ospitato Nicolò Fagioli facendolo accomodare su una sedia all’interno di un cerchio con altre 20 sedie, ognuna occupata da uno psicologo. Perché?
«Per esprimergli un senso di condivisione. Volevamo comunicargli, anche fisicamente, che non eravamo lì per interrogarlo. Ma per affrontare un problema generale».
Nessuna domanda diretta?
«Niente toni inquisitori, piuttosto un flusso di pensiero per prendere, insieme, coscienza di quanto era accaduto».
Un metodo soft propedeutico ai futuri incontri, quando i quesiti potrebbero essere più «duri»?
«Non conosciamo i prossimi interlocutori di Nicolò. Sappiamo solo che il nostro Ordine ha accettato con grande piacere la proposta avanzata da Figc e Juventus di ospitare questa prima uscita pubblica di Fagioli».
La febbre per le scommesse è un mostro che ha divorato tanti campioni.
«La ludopatia, come altre forme di dipendenza, è un fenomeno trasversale. Tocca ogni ceto sociale a prescindere dall’età e dalle condizioni economiche».
Esiste un piano terapeutico ad hoc per le star dello sport?
«Non c’è un protocollo valido per tutti, ma interventi ad personam fondati su storie individuali che sono sempre diverse l’una dall’altra».
E qual è la «storia individuale» di Nicolò Fagioli?
«Non possiamo, per ovvie ragioni deontologiche e di privacy, rivelare dettagli: bastano le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Fagioli al termine della seduta. Il suo atteggiamento lascia comunque ben sperare per il futuro».
Siete quindi ottimisti sul pieno recupero del ragazzo?
«Già adesso la situazione si è normalizzata».
Il buio è alle spalle. Non c’è il rischio di una «ricaduta»?
«Uscire definitivamente da una grave dipendenza non è facile come prendere un caffè. Ma bisogna pensare in positivo».
Come proseguirà ora il vostro lavoro su Nicolò?
«Consegneremo, come previsto dagli accordi, un report alla Figc. E così faranno anche i responsabili dei futuri incontri pubblici a cui parteciperà Nicolò».
La strada intrapresa dalla Figc vi trova favorevoli?
«Senza dubbio. Quella dei percorsi riabilitativi in ambito giudiziario è da tempo una consuetudine. La Procura federale sportiva ha ora, per la prima volta, mutuato lo stesso schema nell’esatta convinzione che ogni dipendenza sia un fenomeno transitorio bisognoso di recupero e cura».
In questo processo la scuola che ruolo può avere?
«Fondamentale. Attività programmate e di prevenzione devono far parte dei piani didattici».