Ha scoperto di essere al quinto mese di gravidanza quando si trovava nelle fasi conclusive del processo di transizione che l’avrebbe portata a cambiare sesso: la storia di una giovane di Roma sta facendo in queste ore il giro del web.
Ad occuparsi del caso per preservare le condizioni di salute del nascituro è un’equipe medica specializzata di una struttura sanitaria della Capitale: i sanitari stanno cercando di capire se le terapie ormonali a cui la paziente si è sottoposta nei mesi scorsi possano aver avuto delle ripercussioni sulle condizioni del feto.
Il percorso per cambiare sesso sarebbe stato avviato dalla protagonista della vicenda già da qualche anno, a partire dall’iter psicologico necessario a vedere diagnosticata e certificata la cosiddetta disforia di genere. Con il passo successivo, quello cioè della terapia ormonale, la paziente ha iniziato ad avere i primi cambiamenti fisici di una certa rilevanza, con lo sviluppo della peluria e nello specifico della barba. Sottoposta a mastectomia per rimuovere le ghiandole mammarie, la giovane si è dedicata alle pratiche burocratiche: il tribunale di Roma ha quindi dato l’autorizzazione alla rettifica anagrafica del sesso e al cambio di nome su tutti i documenti di identità.
Quando mancava poco alla conclusione dell’iter avviato qualche anno fa, tuttavia, è arrivata la scoperta inattesa: in ospedale per effettuare dei controlli medici e delle analisi finalizzate ad effettuare un intervento di isterectomia, vale a dire di asportazione dell’utero, si è scoperto che la paziente era incinta di cinque mesi. Il personale medico si è immediatamente attivato per verificare le condizioni di salute del nascituro, con il timore che le terapie ormonali possano aver causato dei danni irreparabili al feto.
“Una volta scoperta la gravidanza, la prima cosa da fare è sospendere immediatamente la terapia”, ha dichiarato a Repubblica l’endocrinologa romana Giulia Senofonte, specialista di percorsi di transizione. “Se l’interruzione non è stata immediata, possono esserci conseguenze soprattutto nel primo trimestre, momento delicato per l’organogenesi del nascituro”, ha aggiunto la dottoressa, “è difficile ragionare in astratto: dipende tutto dalla tempistica di sospensione e dal dosaggio di testosterone che la persona sta assumendo”.
“La terapia ormonale blocca il ciclo mestruale ma non è un contraccettivo. La persona può continuare a ovulare e, di conseguenza, incorrere nel rischio di gravidanze”, ha puntualizzato in conclusione l’esperta, “chi si occupa di transizione di solito consiglia pillole contraccettive che si possono usare durante la terapia ormonale”.