Waiting for Godot a Taiwan. Non parliamo della mancata invasione dell’isola di Formosa da parte della Cina. A far trepidare e preoccupare maggiormente i leader politici di quella che i cinesi considerano una provincia ribelle è invece l’attesa delle armi americane indispensabili nel caso in cui il Paese del dragone decida di risolvere una volta per tutte la madre di tutte le questioni.
Il ritardo delle armi
È pari a 19 miliardi di dollari il valore dei missili, lanciarazzi e armamenti vari made in Usa ordinati da Taiwan. Armi che però non si sono ancora materializzate e stanno anzi accumulando ritardi di consegna stimati nell’ordine di anni. Uno degli affari più importanti del valore di 2,37 miliardi di dollari per 400 missili antinave Harpoon è stato siglato nel 2020 al tempo dell’amministrazione Trump. Secondo il Wall Street Journal il completamento della produzione è previsto per il marzo del 2029, cioè due anni dopo la data stimata dal direttore della Cia William Burns per l’invasione cinese dell’isola.
Burocrazia e soprattutto i limiti nella capacità di produzione sono stati indicati come responsabili dei forti ritardi delle consegne. “Stiamo facendo il possibile per aumentare la capacità industriale, velocizzare la produzione e ridurre le tempistiche necessarie” ha affermato qualche mese fa Mira Resnick, funzionaria del dipartimento di Stato in un’audizione al Congresso. Andrew Yang, ex ministro della Difesa di Taiwan, sostiene di aver chiesto agli Usa di “fornire almeno quantità limitate di sistemi avanzati in modo da poter cominciare con l’addestramento” senza però ottenere una risposta.
Il problema legato alle prolungate attese per le consegne degli armamenti è stato riscontrato anche in Ucraina e ha fatto emergere criticità nell’attuale sistema della difesa americana. In quel settore a inizio anni Novanta erano 51 i fornitori primari degli Stati Uniti, un numero che oggi, a seguito di un impressionante processo di consolidamento, si è ridotto ad appena cinque grandi contractor: Lockheed Martin, Boeing, Raytheon, Northrope Grumman e General Dynamics. Nello stesso periodo i fornitori di missili tattici sono passati dalle 13 alle tre unità e quelli di navi da guerra sono scesi da otto a due unità.
La paura dell’invasione
Secondo Timothy Heath, autore di un report del think tank Rand Corporation, Taiwan potrebbe resistere ad un’invasione cinese per 90 giorni senza l’aiuto militare americano e l’arrivo sull’isola degli armamenti ordinati sarebbe sufficiente ad evitare la vittoria cinese. Un’altra analisi del Center for Strategic and International Studies riporta come dopo tre mesi di guerra con Pechino, il mancato sostegno di Washington renderebbe le unità di artiglieria dell’esercito taiwanese simili alla fanteria.
Il neopresidente Lai Ching-te ha dichiarato di essere “determinato a proteggere Taiwan dalle intimidazioni della Cina” ma è consapevole che l’isola ha un’industria bellica poco sviluppata e ciò la rende particolarmente dipendente dal supporto americano per l’equipaggiamento delle proprie forze militari. Biden ha deciso l’anno scorso di inviare a Taipei tra i 100 e i 200 soldati al fine di addestrare l’esercito dell’alleato aumentando in maniera significativa la sua presenza nel Paese ma il contributo delle armi, come visto, rimane insostituibile.